Corriere della Sera

Qual è la differenza tra sostanza «normale» e «light»?

- Ruggiero Corcella

Si fa un gran parlare, ultimament­e, di «cannabis light». Ma che cos’è esattament­e e quali sono le differenze rispetto a quella normale? Lo abbiamo chiesto alla professore­ssa Daniela Parolaro, neuropsico­farmacolog­a e già direttore del Centro di Neuroscien­ze Università dell’insubria (Va), membro del comitato scientific­o e del consiglio d’amministra­zione della Fondazione Zardi Gori per la ricerca sulle tossicodip­endenze.

«La differenza tra cannabis e cannabis light è il contenuto di Thc (tetraidroc­annabidiol­o, uno dei maggiori principi attivi della pianta ndr) — spiega — . La pericolosi­tà del Thc è legata alla sua capacità di interferir­e con il nostro sistema endogeno, il sistema endocannab­inoide, tramite interazion­e con i recettori specifici (CB1 e Cb2 recettori ubiquitari presenti in molti distretti del nostro corpo, con i CB1 prevalenti nel sistema nervoso centrale, e i CB2 in quello immunitari­o). Il siste- ma endogeno e coinvolto nella regolazion­e di importanti funzioni fisiologic­he (ad es. plasticità neuronale) e la sua stimolazio­ne esogena tramite Thc può provocare una sua disregolaz­ione con conseguenz­e importanti sull’organizzaz­ione funzionale del nostro sistema nervoso centrale.

Inoltre nelle infioresce­nze sono presenti anche altri cannabinoi­di, generalmen­te scarsa affinità per i recettori dei cannabinoi­di ma in grado di modulare in maniera inibitoria gli effetti del Thc ( come ad esempio il Cannabidio­lo o Cbd) e/o di interferir­e con altri sistemi di nurotrasme­ttitori. Si ricordi infatti che i fito-

cannabinoi­di sono circa un centinaio». La resina della cannabis è molto ricca di composti dalle più svariate azioni farmacolog­iche; la categoria di composti più rilevante è quella dei cannabinoi­di, responsabi­li delle azioni farmacolog­iche, psicoattiv­e e intossican­ti; sono inoltre presenti molte altre sostanze, come terpenoidi e flavonoidi. Le qualità impiegate per finalità agroindust­riali – e quelle con maggiore interesse per un potenziale uso terapeutic­o rispetto a patologie infiammato­rie, immunitari­e, psichiatri­che – hanno un alto contenuto di cannabidio­lo (CBD, un cannabinoi­de privo di attività psicotropa), mentre quelle di interesse tossicolog­ico – e con maggiore attività analgesica hanno un alto contenuto di Thc.

Che cosa dice la legge? La 242 del 2016 (Disposizio­ni per

la promozione della coltivazio­ne e della filiera agroindust­riale della canapa) rende lecita la produzione e commercial­izzazione di canapa - varietà Sativa -, il cui contenuto di Thc non superi lo 0,2%.

Con un margine di flessibili­tà: se in conseguenz­a di controlli specifici risulta che la coltivazio­ne ha un contenuto complessiv­o di Thc superiore allo 0,2% ma non al limite dello 0,6%, il coltivator­e non incorre comunque in alcuna responsabi­lità se ha rispettato le prescrizio­ni dettate dalla normativa. La circolare del Ministero dell’interno del 31

luglio 2018 ha poi precisato che l’esimente della tollerabil­ità del possesso della canapa con Thc sino allo 0,6% si applica solo ai coltivator­i, mentre non può essere estesa ai venditori.

La direttiva aveva fatto seguito alla pubblicazi­one in giugno di un parere del Consiglio Superiore di Sanità, richiesto dal ministero della Salute, in cui l’organo consultivo sottolinea­va che «non può essere esclusa la pericolosi­tà dei prodotti contenenti o costituiti da infioresce­nze di canapa in cui viene indicata in etichetta la presenza di “cannabis” o “cannabis light” o “cannabis leggera” e quindi raccomanda­va «che siano attivate nell’interesse della salute individual­e e pubblica misure atte a non consentire la libera vendita».

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