I VERI LEGAMI CHE VANNO OLTRE LE LITI
L uigi Di Maio non ha capito quale choc abbia rappresentato, non solo per Macron ma per mezza Francia, l’insorgenza dei Gilet Gialli. Ha capito benissimo invece che in Italia spira un sentimento antifrancese, che i 5 Stelle — come Salvini — sono abili a sfruttare, in vista delle cruciali elezioni europee del 26 maggio.
È un sentimento che è potuto nascere solo in un Paese come il nostro, che ha rotto con il proprio passato.
Ha reciso la propria memoria. E ha fatto del vittimismo il cardine del discorso pubblico. Ma anche la Francia ha sbagliato, troppe volte, a considerare inevitabile l’acquiescenza italiana. È una questione complessa, in cui non meno delle contese politiche contano i caratteri dei popoli. Non è solo economia e diplomazia; è cultura, è (cattivo) umore.
Noi italiani siamo convinti che i francesi ci disprezzino. E in effetti i francesi — soprattutto i parigini — tendono talora a ostentare, più che a coltivare, un certo senso di superiorità. Nei confronti di tutti, però; mica dei soli italiani. Anzi, le élite francesi da Carlo VIII a Sarkozy, passando per il Re Sole che assediò Torino e Mitterrand che prese casa a Venezia, sono ossessionate dall’italia. «Le génie italien» ha ispirato generazioni di artisti e di politici. Machiavelli è apprezzato e studiato a Parigi più che da noi (e lo stesso si potrebbe dire di Umberto Eco e Paolo Conte). Siamo certi che se la Gioconda — portata in Francia da Leonardo stesso — fosse custodita a Brera o agli Uffizi sarebbe diventata il mito planetario che è?
In realtà, non esistono al mondo due popoli la cui storia sia più strettamente intrecciata. Noi abbiamo dato ai francesi due regine che hanno regnato da vedove attraverso i figli — Caterina e Maria de’ Medici —, un imperatore — i Buonaparte erano di origine toscana —, un primo ministro — Léon Gambetta, protagonista della resistenza ai prussiani, era figlio di un droghiere genovese —, un capitano della Nazionale — la famiglia Platini è di Agrate Conturbia, Novara —, una first-lady come Carla Bruni, oltre ad artisti di immenso prestigio da Belmondo a Pierre Cardin che si chiama in realtà Pietro Cardìn. I francesi hanno dato a noi se possibile qualcosa di più: l’indipendenza e l’unità nazionale. La vittoria di Magenta che aprì le porte di Milano si deve interamente a loro, con i piemontesi che arrivarono a cose fatte accolti dalle grida di scherno degli zuavi (ma si batterono magnificamente a San Martino, consentendo a Napoleone III di travolgere l’armata del giovane imperatore Francesco Giuseppe a Solferino).
Il problema è che i francesi avevano in animo di sostituire l’egemonia austriaca con la loro. E a lungo hanno dato l’impressione di trattare il giovane Stato italiano con una sufficienza che non hanno mai abbandonato del tutto. La rottura arrivò quando nel 1881 Parigi si prese la Tunisia, su cui avevamo messo gli occhi. (Dopo Caporetto però il loro aiuto ci servì molto; per quanto la prima resistenza sul Piave si debba ai fanti italiani). Ecco, l’impressione è che in qualche dossier resista tutt’ora questa attitudine a dare l’italia per scontata. Più che il citatissimo intervento in Libia — dove americani, inglesi e francesi non portarono caos e guerra, che c’erano già, ma ebbero semmai il torto di disinteressarsi del dopo-gheddafi —, è necessario ricordare gli sconfinamenti inaccettabili a Bardonecchia, la durezza al limite della crudeltà con cui è stata di fatto ripristinata la frontiera di Ventimiglia, la ritrosia a lasciar nascere attorno a Fincantieri un polo in grado di competere con i colossi extraeuropei. Anche la retromarcia sulla disponibilità ad accogliere una parte di migranti della Sea Watch non è un segnale incoraggiante.
Quel che ha fatto Di Maio però è gravissimo, ed è strano che un leader impreparato come vicepremier ma sveltissimo come capo politico si ostini a non comprenderlo, o a fingere di non farlo. I Gilet Gialli non sono un partito di opposizione. Sono un movimento quasi eversivo, acceso da una collera popolare legittima, che però ha calamitato estremisti di destra, di sinistra o semplicemente antistatuali. Si sono resi responsabili di reati che la maggioranza dei francesi — che non a caso dopo un’iniziale simpatia li ha abbandonati — considera imperdonabili, tipo l’assalto ai simboli della nazione come l’arco di Trionfo — già bersaglio dei terroristi islamici del Gia — e le aggressioni ai poliziotti. Andare a proporre un’alleanza a un leaderino, neppure dell’ala moderata, non è una mossa politica e neanche una provocazione; è un gesto ostile (e la lettera a Le Monde in cui Di Maio retrodata la democrazia francese ai Merovingi, se non ai Galli, non ha risolto molto).
Salvini, dal canto suo, si chiama fuori come ogni volta che i 5 Stelle commettono un errore. Ma nei confronti di Macron ha assunto atteggiamenti di dileggio comprensibili per un capo partito in cerca di visibilità e consenso, sbagliati per un vicepremier e ministro dell’interno. L’interesse di parte è importante; quello nazionale lo è di più. E l’italia ha tutto l’interesse ad avere con la Francia un rapporto di rispetto reciproco e di collaborazione.
Pensiamo a quanti nodi vadano sciolti nei prossimi mesi. Il rimpatrio di clandestini in Paesi africani con cui la Francia ha un rapporto molto più stretto del nostro. La consegna dei terroristi rifugiatisi oltralpe e tuttora a piede libero. La Tav, su cui il governo gialloverde è diviso. Il destino di grandi gruppi finanziari e industriali: Alitalia, Tim, Mediobanca, Generali, Mediaset; storie diverse, accomunate dal fatto che l’italia ha attratto in questi anni molti capitali francesi, che hanno investito anche sulle nostre banche e in particolare sul nostro debito pubblico. O ce lo ricompriamo tutto, cosa che non siamo in grado di fare, o troviamo il modo di ricucire il dialogo. Senza certe arrendevolezze del passato, però anche senza una iattanza utile alla propaganda di partito ma non al Paese.
I rapporti
La Francia sbaglia a dare per scontata l’italia ma è gravissimo ciò che ha fatto Di Maio