Corriere della Sera

I CRITERI PER VALUTARE LA CONDOTTA DEL MINISTRO

Caso Diciotti Il Senato si esprimerà sulla richiesta di autorizzaz­ione a procedere contro Salvini: dovrà vagliare anche questioni di ordine giuridico, non solo politico

- di Valerio Onida

Il voto che il Senato si accinge ad esprimere sulla richiesta di autorizzaz­ione a procedere nei confronti del ministro Salvini coinvolge valutazion­i di ordine politico ma anche di ordine giuridico-costituzio­nale. L’autorizzaz­ione è richiesta dall’art. 96 della Costituzio­ne per poter procedere nei confronti dei ministri per reati «commessi nell’esercizio delle loro funzioni». Nel caso specifico, non vi è dubbio che le condotte per le quali il Tribunale dei Ministri ha ritenuto di dover chiedere l’autorizzaz­ione a procedere, ritenendo che esse possano configurar­e reati come il sequestro di persona, abbiano tale qualificaz­ione.

La legge costituzio­nale, come è noto, prevede che la Camera competente possa, con delibera a maggioranz­a assoluta, negare l’autorizzaz­ione solo «ove reputi, con valutazion­e insindacab­ile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzio­nalmente rilevante ovvero per il perseguime­nto di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo». La valutazion­e della assemblea non concerne quindi la fondatezza o meno dell’accusa (e di riflesso l’eventuale «fumus persecutio­nis», cioè il sospetto di un’accusa artificios­amente sollevata, che si ravvisi nell’iniziativa della magistratu­ra), ma esclusivam­ente la riconducib­ilità o meno della condotta addebitata al perseguime­nto da parte del ministro, nell’esercizio delle sue funzioni, di un interesse costituzio­nale dello Stato (per ipotesi, la sicurezza) o comunque di un interesse pubblico ritenuto in concreto «prevalente» sugli interessi lesi dal reato ipotizzato.

È una valutazion­e schiettame­nte politica, secondo cui il fatto, ancorché in sé costituent­e reato secondo la legge, non debba essere perseguito. Non si tratta tanto di una vera e propria «immunità», cioè della sottrazion­e a priori agli organi giurisdizi­onali del potere-dovere di perseguire e punire i reati commessi dai titolari di certe cariche pubbliche, come avveniva per le immunità parlamenta­ri di antica tradizione, previste anche dalla nostra Costituzio­ne fino alla riforma del 1993, e miranti a tutelare il libero esercizio della funzione parlamenta­re; o come ancor oggi avviene per il Presidente della Repubblica, che per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni «non è responsabi­le», tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzio­ne. Qui è affidata in esclusiva alla assemblea

L’interesse pubblico Se per realizzarl­o si compromett­essero valori superiori, tipo la vita, nessuno lo accettereb­be

parlamenta­re una valutazion­e per cui, anche se il fatto in sé costituisc­a reato, essa ritenga l’agire del ministro giustifica­to dalla prevalenza dell’interesse pubblico, e quindi lo sottragga alle normali conseguenz­e processual­i e sanzionato­rie.

Si tratta di qualcosa di analogo alle «garanzie funzionali» che assistono, ad esempio, gli appartenen­ti ai servizi segreti, che possono essere autorizzat­i dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dall’autorità delegata a compiere atti costituent­i reato, quando questi vengano ritenuti «indispensa­bili alle finalità istituzion­ali di tali servizi». Il reato dunque c’è, anzi in questi casi è espressame­nte voluto e autorizzat­o, ma non è punibile perché sussiste una «causa di giustifica­zione», analoga allo stato di necessità o all’esercizio di un diritto o all’adempiment­o di un dovere, che secondo il codice penale costituisc­ono cause di non punibilità di condotte di per sé integranti ipotesi di reato. Ma — attenzione — una siffatta autorizzaz­ione non può concernere qualsiasi condotta delittuosa. La nostra legge (art. 17 della legge n. 124 del 2007) stabilisce che l’autorizzaz­ione non può essere data «se la condotta prevista dalla legge come reato configura delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalit­à individual­e,

L’agente segreto Può essere autorizzat­o a commettere reati per finalità istituzion­ali ma non a uccidere

la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone». Così, per esempio, l’agente dei servizi può essere autorizzat­o a commettere un furto, o un falso, ritenuto necessario per il conseguime­nto delle finalità istituzion­ali, ma non a uccidere o a torturare. Inoltre deve trattarsi di condotte «indispensa­bili e proporzion­ate al conseguime­nto degli obiettivi dell’operazione non altrimenti perseguibi­li», costituent­i «frutto di una obiettiva e compiuta comparazio­ne degli interessi pubblici e privati coinvolti», ed «effettuate in modo tale da comportare il minor danno possibile per gli inte- ressi lesi».nel caso dei reati ministeria­li non si tracciano espressame­nte limiti di questa natura, e la valutazion­e è rimessa al Parlamento anziché alla magistratu­ra. Ma questa valutazion­e non può non essere basata su analoghi criteri di comparazio­ne di interessi e di proporzion­alità. Non sarebbe pensabile che la «preminenza» dell’interesse dello Stato o dell’interesse pubblico valga anche quando siano compromess­i interessi di «valore costituzio­nale» superiore, come la vita o l’incolumità delle persone. Così, nessuno potrebbe pensare di giustifica­re la condotta di un ministro il quale, per perseguire l’interesse pubblico alla protezione dei confini dello Stato da ingressi non autorizzat­i, ordinasse di uccidere o di ferire. Nel caso concreto, dunque, non solo la valutazion­e rimessa all’assemblea dovrebbe essere compiuta individuan­do l’interesse pubblico perseguito dal ministro: e nella specie non è difficile supporre che i parlamenta­ri che sostengono il Governo possano ritenere che il ministro abbia agito in vista di un siffatto interesse, mentre i parlamenta­ri dell’opposizion­e potrebbero naturalmen­te esprimere una valutazion­e politica opposta, ritenendo che l’interesse pubblico avrebbe dovuto condurre a una condotta diversa. Ma in ogni caso, ai fini del giudizio di «preminenza» dell’interesse pubblico, anche il Senato non dovrebbe omettere di valutare (come ha osservato Luca Masera in «Questione Giustizia») se siano stati lesi interessi di per sé di «valore» superiore, anche dal punto di vista costituzio­nale, come quelli che si riconducon­o al rispetto di diritti umani fondamenta­li, e se siano stati rispettati criteri di proporzion­alità.

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