Corriere della Sera

«Mio padre disperso nelle acque dalmate»

- Rita Ruzzier

Non solo nelle foibe finirono sepolti tanti istriani e dalmati; anche le acque dalmate accolsero in modo cruento i loro corpi. A mio padre Giovanni, con la vita, venne tolta anche la possibilit­à di conoscere sua figlia. Giovanni aveva 29 anni, era italiano, nato e vissuto a Pirano. Sposato da poco, faceva il marinaio. Durante la Seconda guerra mondiale faceva parte dell’equipaggio di uno dei tanti trabaccoli (i Tir dell’adriatico) usati per il trasporto di rifornimen­ti alle truppe dell’esercito italiano di stanza in Dalmazia prima dell’8 settembre 1943. Il 18 gennaio 1943 la Msb Giuditta lasciò le coste istriane diretta a Metkovic. All’imbrunire del 22 gennaio gettò l’ancora nella baia di Simignago presso l’isola di Radelj (Murter zona di Sebenico). Usando piccole barche da pesca, i partigiani catturaron­o, svuotarono la Giuditta del carico e la bruciarono. Non fu trovata traccia dei quattro membri dell’equipaggio, considerat­i poi dispersi per fatto di guerra. Mio nonno mi raccontò che fu rinvenuto solo il cagnolino di bordo. Il ricordo di mia madre è invece il sogno che fece quella terribile notte: Giovanni la chiamava e la salutava dall’acqua. Subito dopo il referendum-farsa della primavera 1950 nelle terre istriane, quando casa per casa cercavano di far uscire le persone per obbligarle ad andare a votare, per me e mia madre iniziò l’esodo.

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