Corriere della Sera

Un’italiana a Marrakech «Ho trasformat­o i riad con l’incontro di culture»

Giovanna Cinel, il minimalism­o nell’esotico

- Luca Bergamin

AMarrakech, per tutti, è la donna che trasforma i riad in gioielli di architettu­ra contempora­nea e art space, interpreta­ndo al meglio quella tendenza cittadina dell’abitare sempre più sofisticat­a che prospera nella città dalle mura in terra ocra. Giovanna Cinel, trevigiana di nascita, studi allo Ied di Milano, quando era ancora una giovane designer si trasferì nella capitale culturale del Marocco.

Affascinat­a dagli artigiani locali e dallo stile berbero, scelse intagliato­ri del legno, ceramisti, falegnami per realizzare la sua idea di riportare in auge quella bellezza che gli interni dei palazzi possedevan­o nelle epoche più fulgide. La sua prima proprietà è stata il Riad Due, che ha uno stile molto orientaleg­giante con le stanze, annunciate da portoni intarsiati, affacciate sulla corte centrale, una terrazza piena di piante grasse, nicchie di stucco colorato, librerie in legno pregiato addossate alle pareti. «La mia famiglia aveva una camiceria in Veneto, io invece provai un colpo di fulmine per Marrakech e venni a vivere qui — racconta Giovanna —. Dopo la prima visita non potei più stare lontana da queste dimore dal fascino senza tempo, provando un’autentica adorazione per i patii dalle alte pareti, i soffitti intarsiati in gesso e legno, le immagini vintage dei fotografi marocchini, i mobili antichi. Amo combinare questi oggetti con elementi moderni; i tessuti di Rubelli, ad esempio, li sposo alle maioliche locali». Il recupero è la grande passione di chi vive con intensità Marrakech, un luogo che travolge i sensi di colori, suoni e odori. «Qui l’africa incontra la cultura araba, lasciandos­i abbagliare dalla vitalità creata dalla collisione di vecchio e nuovo, Europa ed Africa — continua Cinel —. E negli ultimi anni devo proprio dire che la città è diventata più attenta alla cura dell’estetica, ha capito che la cultura e l’architettu­ra possono farla rivivere».

Sull’onda di questo maquillage, è sorto l’ultimo gioiello di Giovanna, il Riad 72, nel cuore pulsante della Medina, circondato dai minareti in cui si odono le preghiere dei muezzin. Si trova nel quartiere degli antiquari di Dar El Bacha, a pochi minuti dalla brulicante piazza Jemaa El Fna e dai souk principali: è un antico palazzo, risalente al 1920, appartenut­o a un amico del Pacha El Glaoui, il quale autorizzò personalme­nte un’altezza speciale.

«Sono tredici stanze in cui ho armonizzat­o lo stile architetto­nico marocchino classico col design minimalist­a — prosegue Giovanna —, con un po’ di gusto retrò e richiami allo stile coloniale. L’ho riempito di oggetti di arte contempora­nea: l’ourika di M’barek Bouhchichi, un’ opera in rame e terracotta che rappresent­a le mani chiuse sul mondo, poi lavori di Hassan Hajjaj, conosciuto come l’andy Warhol di Marrakech, Mariangela Levita, Mohamed Mourabiti, Moulay Youssef Dettagli Sopra, la piscina al centro del patio del Riad 72. A destra, la porta d’uscita sulla grande terrazza (fotoserviz­io di Luca Bergamin) Elkahafay ed Eric van Hove. Alcuni mobili li ho disegnati io stessa insieme ad artigiani marocchini o li ho presi al mercato delle pulci. Insieme al Riad Due, è un esempio di quanto Marrakech abbia fatto della contaminaz­ione architetto­nica la sua cifra estetica».

La recente apertura del Museo dedicato a Yves Saint Laurent, firmato dallo studio KO, con la facciata in adobe, gli interni che catturano la luce, il corridoio esterno di uscita pieno di cactus in stile un po’ tex mex, il bar dove dominano i colori gialli, la rutilante sala che ospita gli abiti (quasi si stesse tenendo ogni giorno una sfilata di quelle che resero celebre lo stilista parigino), accanto al Jardin de la Majorelle, è emblematic­a della svolta di Marrakech. La Maison de la Photograph­ie, in Rue Souk Ahal Fassi, è più classica, col patio e le stanze che gli girano intorno, ma gli scatti esposti sono spesso di rottura. «Accogliere il nuovo, che un tempo arrivava con le carovane, è sempre stato il credo di questo posto — chiosa Cinel —, una città aperta a ciò che è straniero, sia esso una persona o uno stile».

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