Marocco, l’ultima frontiera dell’esotismo
Avoler essere alternativi, bohémien, figli dei fiori, nella seconda metà del secolo scorso, si poteva scegliere per le proprie “vacanze” da soli luoghi come l’india, il Nepal, l’afghanistan o, appena più abbordabili, la Turchia e il Marocco. Erano Paesi dove il cibo aveva sapore e forme diverse, ma anche i letti erano diversi, i gioielli e i vestiti erano diversi, soprattutto il modo di pensare in quei posti era lontanissimo da quello occidentale: nello spazio, nelle abitudini, nella spiritualità e, certo, anche nelle droghe e nella sessualità.
Quella catena di Paesi formava una sorta di frontiera ribelle popolata di personaggi invidiati per il loro essere controcorrente. Erano stilisti, rampolli di famiglie industriali, cantanti, attori, artisti. Oggi alcune di quelle mete dello spirito sono precluse per la guerra, altre sono snaturate dalla povertà, dal turismo o dalla crescita economica. Altre, come il Marocco sanno ancora difendere il loro esotismo.
Il «Corriere» organizza per la prima volta un viaggio per i suoi lettori (6-13 aprile) alla scoperta dell’unicità marocchina, della sua storia e della sua politica capace di superare senza scossoni drammatici le primavere arabe. Viaggiare nel regno di Mohammed VI da soli è possibile, quasi facile, certamente flessibile. Ma affidarsi ad un gruppo permette di concentrarsi su quel che ci circonda piuttosto che su come arrivare all’hotel per la notte.
In una settimana si toccheranno le classiche città imperiali, ma anche il deserto, l’oceano e tanti villaggi costruiti con argilla e paglia. Sconsigliato a chi non ama cambiare prospettiva, consigliabilissimo invece a chi vuole scoprire i bazar e gli hammam, le tagine e il cuscus, il sapone nero e gli spazi infiniti del cielo sopra le dune del Sahara.