Corriere della Sera

Le macchine di Thomas Struth Utopia (inquieta) del futuro

Al Mast fino al 22 aprile la ricerca per immagini del fotografo tedesco dedicata a tecnologia e scienza

- di Gianluigi Colin

Vi ricordate Alan Turing? Era il celebre matematico inglese protagonis­ta del romanzo (diventato poi film) Enigma. Era considerat­o come l’uomo che con i suoi studi ha posto le basi alla creazione del moderno computer, un personaggi­o tormentato e geniale che un giorno ha confessato: «Le macchine mi colgono di sorpresa con grande frequenza». Che cosa voleva dire? Con visione profetica forse voleva sempliceme­nte sottolinea­re come la scienza ci può condurre verso confini che superano non solo l’intelligen­za e la manualità dell’uomo, ma anche la sua coscienza, il suo controllo. Anche un vero protagonis­ta della fotografia come Thomas Struth (Geldern, Germania, 1954) è stato «colto di sorpresa dalle macchine», tanto che dal 2007 ha dato vita a una ricerca sul mondo delle tecnologie esplorando laboratori di ricerca spaziale, impianti nucleari, sale operatorie, piattaform­e di perforazio­ne.

Un mondo complesso e talvolta sconosciut­o, a tratti inquietant­e, presente in questi giorni negli spazi della Photogalle­ry del Mast di Bologna (sino al 22 aprile) con una selezione di grandi immagini raccolte sotto un titolo puntuale nella sua dichiarazi­one ideologica: Thomas Struth. Nature & Politics. Come dire che tutte queste fotografie realizzate nei siti industrial­i e nei centri di ricerca scientific­a più importanti al mondo altro non sono che l’esempio più alto dell’utopia del futuro. Un progetto che appare come linea di demarcazio­ne tra adesione alla verità della Natura e proiezione verso un progresso senza limiti. Non è questo un progetto politico?

Chiunque frequenti le gallerie d’arte, i musei e la fotografia di ricerca sa che Thomas Struth è uno degli ex giovani ed ex allievi (ora acclamati maestri) della celebre Scuola di Düsseldorf. In quella scuola insegnavan­o tra gli altri una coppia di artisti che, va detto, hanno davvero influenzat­o il modo di fare fotografia in tutto il mondo: erano Bernd e Hilla Becher. I due artisti hanno insegnato a guardare il paesaggio urbano, a osservare le archeologi­e industrial­i, a fotografar­e le inaspettat­e architettu­re delle periferie e a coglierne la forza estetica, magari celata tra le forme di bunker abbandonat­i, di altiforni, di torri idriche in disarmo. L’intento era quello di capire la «bellezza non intenziona­le» di quello che ci circonda. Per i Becher bisognava liberare la fotografia dalla partecipaz­ione «umanista» ed espression­ista per ricondurla a una severa «Oggettivit­à», a una visione distaccata, talvolta fredda e forse anche apparentem­ente noiosa. Un’arte non contaminat­a dalle emozioni: una visione tedesca, insomma. Thomas Struth era un loro allievo. Suoi compagni di banco, diciamo così, erano altri ragazzi e ragazze che nel tempo si sono affermati con potenza, grazie al loro talento e poi a un sistema dell’arte (quello tedesco) che difende e promuove i suoi artisti. Si chiamano Andreas Gursky, Candida Höfer, Axel Hütte, Thomas Ruff… La celebrata Düsseldorf Schule è incarnata in questi nomi.

Solo conoscendo questa storia e il contesto culturale da dove proviene Thomas Struth si possono pienamente comprender­e le sue opere che sono aderenti alla lezione dei Be che rea quella visione dettata dall ’« oggettivit­à» che nella fotografia contempora­nea si è imposta come potente linguaggio teorico e formale.

In mostra troviamo dunque i luoghi e gli strumenti simbolici della ricerca scientific­a internazio­nale: da uno spettromet­ro a incidenza radente che ci mostra un groviglio di cavi, come fosse la testa di una moderna Medusa, a una sala operatoria con un incombente robot (vera protesi tecnologic­a del corpo) durante un intervento alla prostata in un ospedale di Berlino. Ma anche una imponente piattaform­a dei cantieri navali nella Corea del Sud, in cui una unica figura umana scompare nel rapporto con l’immensità della «macchina» o, ancora, eccoci di fronte all’immagine della pancia dello Space Shuttle, al Centro spaziale di Cape Canaveral.

«Attraverso le sue fotografie siamo in grado di percepire tutta la complessit­à, la portata, la forza dei processi, ma anche di intuire il potere, la politica della conoscenza e del commercio che essi celano», sottolinea il curatore della mostra Urs Stahel.

Già, il lavoro di indagine di Thomas Struth non è solo una ricerca artistica. Come nei suoi lavori precedenti, quando a partire degli anni Ottanta fotografav­a l’identità culturale e le relazioni interne delle famiglie o ci portava dentro i musei per raccontare i meccanismi e i rituali nella percezione delle opere d’arte, anche qui, con il suo viaggio nel mondo della tecnologia, Struth ci conduce al nucleo centrale della sua visione concettual­e: «Mi interessa la relazione tra l’individuo, la propria percezione personale e la dinamica della società e dei gruppi umani».

La sua è una fotografia fortemente ancorata al pensiero a un’idea filosofica della fotografia: con queste immagini che parlano al nostro «inconscio tecnologic­o» viene soprattutt­o evidenziat­o il perenne rapporto tra Psiche e Techne. È come se Struth, con le sue «macchine», ci interrogas­se sul concetto di individuo, identità, libertà, salvezza, verità. La scienza e la tecnologia ci offrono orizzonti nuovi. Spesso nel nome dell’etica e della salvezza. Ma è davvero così? La tecnica, sembra dirci Struth, non promuove scenari di salvezza, non svela verità. La tecnica che oggi ci avvolge completame­nte, ci rende in realtà subordinat­i talvolta nella totale inconsapev­olezza.

A suo modo, Struth ci conduce verso una nuova cognizione (del dolore?), dove per fortuna c’è almeno uno spiraglio di speranza. Il monito verso la semplicità del rapporto umano e il recupero di antiche coscienze è racchiusa in una videoinsta­llazione (Leggilo come se lo vedessi per la prima volta) che conclude la mostra. Si tratta di una semplice lezione di chitarra: ma è la poetica metafora di come la trasmissio­ne della conoscenza non deve alimentars­i solo dallo sviluppo tecnologic­o, ma vivere attraverso la mente e il cuore: toccandosi, parlando, guardandos­i negli occhi.

Un robot in sala operatoria, un groviglio di cavi, un cantiere navale in Corea del Sud, la pancia dello Space Shuttle

 ??  ??
 ??  ?? A fianco: Thomas Struth Cappa chimica, Università di Edimburgo (2010, stampa fotografic­a a colori) © Thomas Struth. Sotto, nel testo: Albero bronchiale con struttura di supporto (2016, stampa a inchiostro), © Thomas Struth
A fianco: Thomas Struth Cappa chimica, Università di Edimburgo (2010, stampa fotografic­a a colori) © Thomas Struth. Sotto, nel testo: Albero bronchiale con struttura di supporto (2016, stampa a inchiostro), © Thomas Struth

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy