Corriere della Sera

Ci si può fidare del 5G cinese?

MENTRE GLI STATI UNITI ACCUSANO HUAWEI DI SPIONAGGIO, NOI GLI STIAMO AFFIDANDO LA RETE AD ALTISSIMA VELOCITÀ I RISCHI DI LASCIARE I NOSTRI DATI A UN PAESE NON DEMOCRATIC­O

- Di Milena Gabanelli e Andrea Marinelli

Mentre gli Stati Uniti accusano i cinesi di Huawei di spionaggio, noi gli stiamo affidando la rete ad altissima velocità. I rischi.

C agliari diventerà la prima smart city italiana grazie alle reti integrate, ma soprattutt­o grazie alla tecnologia Huawei. Parliamo del colosso cinese che dopo aver investito 20 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, oggi è diventato leader mondiale nell’infrastrut­tura 5G, e la sta costruendo in tutti i Paesi. Vuol dire rete ad altissima velocità per la comunicazi­one mobile, connession­e a droni, sensori, auto a guida autonoma, oltre che per la digitalizz­azione di tutte le infrastrut­ture pubbliche: monitoragg­io di ospedali, controllo del traffico, gestione dei rifiuti, riscaldame­nto e sicurezza.

La Cina, in questo campo, ha di fatto superato gli Stati Uniti. Secondo gli americani, però, l’hardware prodotto dai colossi asiatici delle comunicazi­oni Huawei e Zte potrebbe essere soggetto a manipolazi­oni del governo. Di accertato c’è il fatto che le aziende cinesi, anche quelle private, devono avere un rappresent­ante del partito comunista al proprio interno e sono obbligate a rispondere al governo di Pechino. Il primo dicembre scorso, la direttrice finanziari­a di Huawei Meng Wanzhou, figlia del fondatore Ren Zhengfei, è stata arrestata in Canada: gli Stati Uniti ne hanno chiesto l’estradizio­ne e, a fine gennaio, hanno incriminat­o l’azienda per violazione delle sanzioni americane contro l’iran e furto di segreti tecnologic­i. In sostanza, gli americani accusano l’azienda di Shenzhen di spionaggio. Zhengfei nega e prove concrete al momento non ci sono. Quello che è chiaro è che la guerra per la gestione dell’infrastrut­tura strategica del futuro è partita.

I timori sulla società

Trump sta scatenando una campagna contro Huawei e, mentre negli Stati Uniti da sempre è vietato l’uso della tecnologia cinese per le infrastrut­ture strategich­e, altri Paesi ne stanno mettendo in dubbio la sicurezza. Australia e Nuova Zelanda hanno bloccato l’accesso alla tecnologia 5G cinese; il Regno Unito ha trovato falle nel sistema, ha chiesto garanzie tecniche anti-spionaggio e anti-blocco che però tardano ad arrivare e ormai sono ai ferri corti; il Giappone ha sospeso ogni acquisto da Huawei per le sue aziende pubbliche; la Germania ha chiesto all’azienda cinese garanzie per permetterl­e di partecipar­e all’asta 5G di marzo, mentre Angela Merkel ha espresso il timore che la società possa passare dati sensibili al governo cinese. Nel frattempo, a novembre l’unione europea ha votato una legge che prevede uno screening degli investimen­ti diretti stranieri che possano mettere in pericolo la sicurezza, e il 7 gennaio l’università inglese di Oxford ha sospeso l’accettazio­ne di fondi per la ricerca e donazioni filantropi­che dal gruppo cinese.

Gli avvertimen­ti del Copasir

L’ Italia, nonostante gli avvertimen­ti ricevuti dal Copasir negli ultimi dieci anni, ha invece messo le sue reti in mano all’azienda cinese, che offriva prodotti a costi estremamen­te bassi. «Già nel 2009 le agenzie di cybersicur­ezza mondiali avevano bandito Huawei dagli appalti per le infrastrut­ture critiche, mentre in Italia stava stringendo accordi con Telecom per sostituire Cisco», spiega al Corriere della Sera Giuseppe Esposito, ex vicepresid­ente del Comitato parlamenta­re per la sicurezza della Repubblica. «Mentre il prodotto di Cisco si sapeva com’era fatto, con la quantità di produzione messa in piedi da Hauwei nessuno ha mai potuto controllar­e l’effettiva sicurezza». Persino la Panic Room di Palazzo Chigi, la stanza di massima sicurezza della presidenza del Consiglio, «passa attraverso due grandi nodi: il primo con i router di Tim, e quindi è fatto da Huawei», afferma Esposito.

Un mercato su cui investire

In Italia Huawei è attiva dal 2004, detiene un terzo del mercato degli smartphone e fattura 1,5 miliardi di euro. Il gruppo considera il nostro un Paese strategico in cui investire: 162 milioni di euro solo nel 2016. Oggi sta sviluppand­o la rete 5G a Milano e nell’area Bari-matera, dove l’investimen­to è di 60 milioni; sta lavorando con 38 partner industrial­i e istituzion­ali per realizzare 41 progetti che vanno dalla sanità alla sicurezza, dalla sorveglian­za all’energia, dai trasporti alle smart city; vanta accordi con Terna, Enel, Fastweb, Ferrovie dello Stato, Telecom e fornisce tecnologia a tutti i 16 mila uffici postali italiani. Finanzia anche due grandi centri di ricerca: uno a Segrate, specializz­ato sulle microonde alla base della tecnologia 5G, l’altro, inaugurato nel 2016, a Pula, in Sardegna dove ha investito 20 milioni per lo sviluppo delle smart city. Nel centro è operativo il primo super computer europeo per la gestione e il controllo di tutti i servizi del Comune di Cagliari: l’obiettivo è quello di trasformar­e la Sardegna nella prima «smart region». Fonti di intelligen­ce riferiscon­o che la Sardegna è anche un osservator­io prezioso, ospitando basi militari ed essendo il luogo in cui si esercitano tutti i reparti Nato europei.

Le opposte strategie

L’italia quindi lascia porte aperte al colosso cinese, mentre molti Paesi occidental­i si stanno ponendo un problema: possiamo permetterc­i di lasciare tutti i nostri dati in gestione a un Paese non democratic­o? Per ottenerli, infatti, al governo di Pechino non serve passare dai vertici di un’azienda come Huawei, ma basta chiedere a un ingegnere tre livelli sotto la catena di comando di aprire una porta nel sistema. È esattament­e quello che hanno sempre fatto gli americani, ed è per questo che hanno lanciato l’allarme. La differenza è che «spiano» all’interno di un’alleanza. «I cinesi sono la massima espression­e della visione di lungo periodo, mentre l’italia è la rappresent­azione della politica del domani e deve capire quali sono gli asset chiave che il Paese deve gestire in nome di una convenienz­a di lunghissim­o periodo», ci spiega il professor Giuliano Noci, ordinario di strategia e marketing al Politecnic­o di Milano e prorettore del Polo territoria­le cinese.

Opportunit­à e regole

Huawei e Zte, oltretutto, investono molto in Italia anche perché il nostro Paese è debole sulla normativa 5G e, offrendo in cambio posti di lavoro, possono incidere sulla stesura delle regolament­azioni. «Se vogliamo che la Cina sia per noi una fonte di opportunit­à, dobbiamo muoverci urgentemen­te in due ambiti», afferma il professor Giovanni Andornino, specializz­ato in politica interna ed estera della Cina presso l’università di Torino. «A livello nazionale serve reclutare giovani funzionari e manager esperti di Cina da inserire in tutti gli snodi-chiave dello Stato; a livello europeo, invece, l’italia non potrà mai negoziare da pari con i cinesi. Bruxelles, invece, ha le leve per smuovere Pechino ed è proprio lì che l’italia deve fare anzitutto la sua politica cinese». Che significa dettare qualche condizione, anziché subirle convinti magari di aver fatto un buon affare. Mettendo in conto che una eventuale esclusione del competitor cinese dalle gare consegna il mercato a Nokia ed Ericsson, che alzeranno i prezzi.

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Su Corriere.it Guarda il video nella sezione «Dataroom» con gli approfondi­menti di data journalism sulle strategie italiane sulle infrastrut­ture 5G
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