Manuel: resisto e mi ispiro a Bebe Vio
Il 19enne in rianimazione: di chi mi ha sparato non mi importa, penso a me
«C osa penso di chi mi ha sparato? Nulla. In questi giorni la prima persona che mi è venuta in mente è stata Bebe Vio, mi ispiro lei». Così al Corriere Manuel Bortuzzo, il nuotatore ferito a Roma e paralizzato.
ROMA Manuel non molla. La voce è quella di sempre, di prima dell’agguato. Come identica a quella di ogni giorno, dal 3 febbraio scorso, è la fila di amici che vuole incontrarlo fuori dalla terapia intensiva del San Camillo. Anche di domenica. Dentro l’«isola» della Rianimazione c’è lui, diciannove anni, con i suoi pensieri e la sua voglia di riprendersi al più presto. Il proiettile calibro 38 che lo ha «colpito per sbaglio» — come ha confermato lo stesso Lorenzo Marinelli, che in quella sciagurata notte all’axa Casalpalocco, quartiere residenziale fra Roma e Ostia, ha premuto il grilletto dallo scooter guidato dal complice Daniel Bazzano — gli ha lesionato il midollo, paralizzandolo dalla vita in giù, e prima gli ha perforato il polmone sinistro. Adesso, fuori da questa stanza d’ospedale, un futuro diverso attende il nuotatore trevigiano. È tutto da disegnare. Il padre Franco, che gli sta vicino da giorni, già sta pensando di cambiare casa. «La nostra è su tre piani, impensabile adesso vivere lì», spiega. Ma è comunque già un buon segno che si cominci a parlare del domani.
Manuel, in una sera la tua vita è stata totalmente stravolta. Come pensi di ricominciare?
«Per ora penso di tornare a casa il più presto possibile, e stare sempre meglio. A migliorare ogni giorno, sempre di più, fisicamente. Qui in ospedale ci sono i miei amici, quelli che vengono tutti i giorni. Diciamo che non mi annoio. Aspetto che vengano a trovarmi».
Tutta Italia si è stretta attorno a te e alla tua famiglia. Ci sono stati messaggi di vicinanza e incoraggiamento da ambienti completamente diversi: gli sportivi, certo, ma la tua vicenda ha commosso tanta gente che magari non ha mai praticato sport. Te lo aspettavi?
«Veramente no. Tutto l’ambiente del nuoto è diventato come una famiglia, la nostra famiglia. Mi chiedono ancora come sia possibile tutto questo. Mi vogliono bene dappertutto, è una sensazione bellissima. Li ringrazio tutti. Ad esempio ho saputo che oggi (ieri, ndr) a Mestre i ragazzi in gara hanno indossato delle magliette con la mia faccia. Ci sono persone che non mi conoscono, ma che mi dicono “ti voglio bene”. E mi considerano un punto di riferimento. Non so spiegarmelo, ma so che è bello, molto bello».
A Frosinone i compagni di squadra dell’aurelia Nuoto hanno gareggiato per il campionato regionale con le cuffiette sulle quali c’era scritto «Bortuzzo». Altre testimonianze da Cento, Lodi, Bastia Umbra, Cascina e Ostia, ma le adesioni e le iniziative non si contano. In alcuni centri sportivi gli speaker hanno raccontato la sua storia agli spettatori stretti sulle gradinate. E tantissimi nuotatori
L’agguato Ricordo tutto benissimo di quella sera, almeno fino a quando ho avvertito il dolore
sono entrati in vasca con una «M» disegnata sulle spalle.
La determinazione «Voglio ritornare a casa al più presto e migliorare ogni giorno, sempre di più»
Da dove nasce la tua passione per questo sport?
«Sono sempre stato appassionato di nuoto. Non mi ricordo davvero quando è iniziata. Forse ho capito che faceva davvero per me guardando mia sorella Michelle (adesso istruttrice federale, ndr) che già andava in piscina. E da allora non mi sono più fermato».
Hai un campione al quale ti ispiri, che rappresenta qualcosa di importante?
«Non so perché, ma in questi giorni la prima persona che mi è venuta in mente è stata Bebe Vio...».
La voce, fino a questo momento squillante e decisa di Manuel Bortuzzo, si abbassa di tono. Un momento di silenzio, un attimo di commozione. Un groppo in gola che dura pochi secondi, ma che fa capire tutto il dramma di un ragazzo, un atleta — un futuro campione — vittima di un agguato che gli ha stravolto l’esistenza. Accanto a lui ci sono il papà Franco e il presidente della Federnuoto Paolo Barelli. Proprio quest’ultimo interviene per sostenere ancora il ragazzo, come ha fatto tutti questi giorni: «Devi sapere che, in questo casino, combatteremo insieme. Adesso hai vicino una squadra di padri e madri, fratelli e sorelle, che ti staranno accanto sempre e non ti lasceranno mai».
Manuel, adesso parliamo di ciò che è successo quella maledetta sera. Cosa ricordi?
«Ricordo tutto di quella scena, almeno fino a quando ho avvertito il dolore».
Avevi mai visto prima i due che ti hanno sparato?
«Mai, non li conosco. Solo dopo, quando mi sono risvegliato in ospedale, mi hanno raccontato che fanno parte di una gang, che ci sono di mezzo pugili e malavita, la mafia». Ma la criminalità con Manuel e la sua famiglia non c’entra proprio niente.
Che pensi di chi ti ha fatto tutto questo?
«La verità? Non me ne importa proprio niente, adesso devo pensare ad andare avanti per la mia strada».