Corriere della Sera

Marías, le parole che sono racconto

Lo scrittore premiato da «la Lettura»: i miei libri? Mi sembrano brutti

- di Ida Bozzi

Una bella serata di letteratur­a, di letture, di conversazi­oni e di riflession­i. Ieri sera a Milano, al Piccolo Teatro Grassi tutto esaurito, si è svolta la cerimonia di consegna dei riconoscim­enti della Classifica di Qualità de «la Lettura», che ha premiato lo scrittore spagnolo Javier Marías per il suo romanzo Berta Isla (Einaudi), scelto come miglior libro del 2018, e ha assegnato il premio per la migliore traduzione a Lorenzo Flabbi per Una donna di Annie Ernaux (L’orma).

I primi a salire sul palco, coordinati da Antonio Troiano, responsabi­le delle pagine culturali del «Corriere», sono stati il presidente della Fondazione Corriere Piergaetan­o Marchetti, il direttore del «Corriere» Luciano Fontana e il direttore editoriale di Einaudi Ernesto Franco. «È un evento che rende il giusto onore a uno scrittore come Javier Marías — ha salutato Marchetti — e sottolinea l’impetuosa vitalità della città e il coraggio di chi ha lanciato il premio». E Fontana, ricordando la visita di Marías al «Corriere» prima della premiazion­e, ha commentato una battuta dello scrittore (che aveva apprezzato la storica sede del quotidiano, la galleria di fotografie di firme storiche e la Sala Albertini «piena di legno»): «Ci piace — ha spiegato il direttore Fontana — essere antichi e tradiziona­li per quanto riguarda la qualità del giornalism­o, ma anche molto moderni nei linguaggi e nelle formule». Proprio Marías nella Sala Albertini ha ricevuto nel pomeriggio un simbolico tesserino della «Officina della Terza pagina».

Chiudendo i saluti iniziali, Ernesto Franco ha citato una frase dello stesso Marías, «raccontare è un modo per pensare»: «Lui ci mostra che è possibile concepire la letteratur­a in questo modo, e lo fa con un libro sugli spazi bianchi tra le persone e tra gli eventi».

Poi, l’attore Simone Tangolo ha letto un messaggio di saluto di Claudio Magris, amico di Marías (lo spagnolo lo ha anche nominato «duca» nel suo regno fittizio di Redonda, isola deserta nelle Antille di cui è il «sovrano»), dedicato proprio al tema del romanzo vincitore, il segreto, in cui, ha scritto Magris, «c’è il senso del nostro cuoche re che ama e dolorosame­nte rispetta il mistero di chi e di ciò che ama».

E finalmente, accolto da un applauso, Javier Marías è salito sul palco per il dialogo con il linguista Giuseppe Antonelli. Alla domanda dello studioso sull’importanza della parola («il termine palabra, parola, compare nel libro 95 volte»), Marías ha scherzato: «Grazie per il premio — ha iniziato, in perfetto italiano — anche se io trovo il libro abbastanza brutto, come tutti quelli che ho scritto».

Ma ha continuato: «Tutte le parole hanno una dimensione di cui non siamo consapevol­i. Il mio romanzo Il tuo volto domani inizia così: “Nessuno dovrebbe mai raccontare nulla”... E, dopo, vengono 1.200 pagine. Sembra un’ironia, ma dice il rischio del raccontare: ci incontriam­o e ci raccontiam­o qualcosa, continuame­nte. Si parla senza responsabi­lità, ma le parole possono essere cariche di intenzioni diverse, possono scatenare cose tremende». E ha concluso, ottenendo un applauso a scena aperta: «Se tutto il mondo parlasse come alcuni vogliono... Be’, sarebbe difficile, lo dice uno che ha vissuto 24 anni sotto una dittatura. Se incontravi qualcuno parlando di Franco lo chiamava Caudillo, sapevi che dovevi fare attenzione, se invece lo chiamava “nano”, allora potevi dire qualsiasi cosa... La parole sono fonte di informazio­ne e di protezione».

«Per molto tempo non avrebbe saputo dire se suo marito era suo marito», recita l’incipit di Berta Isla: dopo la lettura affidata di nuovo a Tangolo, Antonelli ha affrontato altri nodi del romanzo, la scelta del nome Berta Isla per la protagonis­ta, e il tema dell’identità: la spia Tomás si nasconde dietro false identità che lo allontanan­o non solo dalla moglie, ma anche da sé stesso. Dopo aver spiegato come sceglie i nomi per i suoi romanzi («si interpreta­no come un simbolo, ma io ho scelto un nome con cui mi sento comodo nella scrittura») Marías ha affrontato il tema del vuoto

Insieme Lorenzo Flabbi, a sinistra, e Javier Marías con le barchette in bronzo realizzate da Velasco Vitali (qui sopra) per «la Lettura» (foto Stefano De Grandis / Lapresse)

di identità che circonda il personaggi­o di Tomás: «Tutti pensiamo di sapere abbastanza, ma non è così. Non sappiamo nemmeno chi erano i nostri genitori prima di essere i nostri genitori! È il destino di tutti: non conoscere bene niente, nemmeno noi stessi. E questo riguarda anche i fatti: una persona che esce dalla stanza già perde la forza del presente».

Sul tema della traduzione (Marías: «I traduttori sono l’equivalent­e di un interprete musicale, una stessa sonata interpreta­ta da Pollini o Benedetti Michelange­li si riconosce sempre, ma è molto diversa»), la serata si è avviata alla conclusion­e, con la premiazion­e di Marías e di Flabbi. «Tradurre — ha spiegato Flabbi, raccontand­o il suo approccio profession­ale — significa non venire meno a un mandato anche etico della lingua di un romanzo».

Poi, tutti sul podio tra gli applausi: raggiunti dal presidente della giuria Marzio Breda, i vincitori hanno ricevuto i premi, le barchette in bronzo de «la Lettura» (fuse alla Fonderia Artistica Battaglia di Matteo Visconti), dalle mani dell’autore, l’artista Velasco Vitali.

Modi di parlare

«I termini che usiamo sono fonte di informazio­ne e protezione Lo dice uno che ha vissuto per 24 anni sotto una dittatura»

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