Corriere della Sera

«L’oro di Via Nazionale non è il tappabuchi del debito ma un tesoro in caso di emergenza»

Toniolo: «I lingotti dati in pegno nel ’74» Il no di Trichet all’uso da parte dei governi

- di Sergio Bocconi

«Ma qualcuno forse pensa che la Banca d’italia sia da mettere in liquidazio­ne? Perché in questo caso sarebbe sì di un qualche rilievo interrogar­si sulla proprietà dell’oro, o meglio delle riserve detenute da Via Nazionale. Diversamen­te...». Gianni Toniolo insegna Storia dell’economia alla Luiss e ne ha lette, viste e sentite parecchie sulla questioni relative a chi appartenga­no e per cosa potrebbero essere utilizzati i lingotti «di Stato», «della Patria», «dei cittadini», delle «banche» o di qualunque cassaforte si desideri parlare, strumental­mente o meno. Questioni, proprietà e destinazio­ni, che ricorrono ciclicamen­te. Soprattutt­o quando il ciclo dimostra un particolar­e affanno riguardo alla nostra «questione madre»: il debito pubblico.

«Non sono un giurista, ma...», premette Toniolo. Ma? «Non è certo riservato alla esclusiva competenza dei giuristi ricordare che tutte le banche centrali, nazionaliz­zate oppure no, hanno per statuto, regole ferree domestiche e internazio­nali autonomia e indipenden­za nella gestione delle passività, anzitutto la circolazio­ne monetaria, e delle attività, cioè il patrimonio costituito anche dalle riserve valutarie in dollari, euro, yen, renmimbi e in oro».

Che poi tra l’altro, sottolinea Toniolo, se anche solo guardiamo all’italia, quarta al mondo per oro detenuto a riserva dopo Fed, Bundesbank e Fmi, i lingotti hanno un valore assolutame­nte frazionale rispetto al debito pubblico: parliamo di 90 miliardi contro 2.400. «A maggior ragione non mi è chiaro, o diciamo meglio, non mi appare immediatam­ente trasparent­e, perché se ne parli così con una certa periodicit­à».

Tanto più, aggiunge lo storico ed economista, se si considera che oggi le riserve e l’oro, benché non abbiano più alcuna corrispond­enza con la moneta in circolazio­ne, rappresent­ano però un «tesoro di ultima istanza», l’argenteria di famiglia a disposizio­ne in caso di estrema necessità. Come, ricorda, è successo nel 1974: «L’italia era alle prese con una forte “crisi di credibilit­à”, la lira stava crollando ed era in corso una grande fuga di capitali all’estero. L’italia allora ha chiesto un prestito, che è stato concesso dai tedeschi solo a fronte di un pegno in oro. Dopo circa quattro anni lo abbiamo restituito e l’oro è stato “liberato” dal vincolo».

Ha rilievo, in termini sempre di proprietà, il fatto che queste tonnellate di oro siano tutte o meno depositate nei forzieri italiani? «No. Molte banche centrali tengono parte dell’oro in deposito all’estero. Buona parte delle riserve auree mondiali stanno fra New York, Londra o la Svizzera». i costi di custodia sono relativame­nte bassi, la sicurezza è massima, la gestione attiva per trarne un rendimento è più agevole. Non è d’altronde mai successo, tranne nella Seconda guerra mondiale, che chi avesse in deposito oro di banche straniere ne rivendicas­se la proprietà. Stiamo tranquilli: l’oro, ovunque sia, resta nella totale e piena disponibil­ità della Banca d’italia, che può farne ciò che meglio crede in qualsiasi momento. Tutto ciò è, fra l’altro, regolato da prassi e trattati internazio­nali».

Non va dimenticat­o, prosegue Toniolo, «che in parte anche grazie a una prudente e attiva gestione delle riserve, la Banca d’italia versa ogni anno al Tesoro, fra la quota di utili che spettano allo Stato e imposte una cifra considerev­ole: l’anno scorso oltre 4,9 miliardi. In altre parole, in buona sostanza tutto quello che è di Banca d’italia è già dello Stato».

Inoltre, «e forse è questa la cosa più importante», quando si pensa a Bankitalia si perde talvolta di vista che fa parte del Sistema delle banche centrali europee, l’eurosistem­a, regolato da trattati internazio­nali. E così quando, fra il 2007 e il 2009, dopo che sia dal centrosini­stra sia dal centrodest­ra erano venuti suggerimen­ti rispetto alla parziale vendita o alla tassazione delle plusvalenz­e relative alle riserve auree, «Jean Claude Trichet, predecesso­re di Mario Draghi alla presidenza della Bce, ha detto chiarament­e che il finanziame­nto diretto ai governi non era consentito». L’oro «non può essere usato come tappabuchi per il debito pubblico».

All’estero

Molte banche centrali tengono parte dell’oro in deposito all’estero, a New York, Londra o Svizzera. I costi sono inferiori e la gestione è più agevole

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Gianni Toniolo insegna Storia dell’economia alla Luiss. È uno storico, economista e professore universita­rio

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