I Grammy delle donne
Solo quattro performance di uomini su diciassette Vincono Lady Gaga, Dua Lipa, Cardi B per l’album rap La star è Michelle Obama in una serata contro i razzismi
L’ immagine della musica che arriva dagli Stati Uniti è quella di una donna. Anzi, di almeno cinque. Alicia Keys, Lady Gaga, Jennifer Lopez, Jada Pinkett Smith e Michelle Obama. Vicine, abbracciate l’una all’altra, l’altra sera hanno aperto la cerimonia più importante per i cantanti di tutto il mondo, i Grammy (condotti proprio da Keys, la prima donna a presentare la serata in 14 anni). E il messaggio è arrivato ancora prima che ognuna di loro parlasse, su quel palco: nella musica come altrove, le donne non solo non devono essere una minoranza, ma possono diventare protagoniste. Tutte le donne, qualunque sfumatura di colore abbia la loro pelle, qualunque sia la loro provenienza. Non importa cosa viene detto loro (Lady Gaga: «Dicevano fossi strana, che il mio look, le mie scelte, le mie canzoni non avrebbero funzionato, ma la musica mi ha detto di non ascoltarli»). O da dove arrivino (Jennifer Lopez: «La musica mi fa ricordare del Bronx, da dove arrivo, ma anche tutti i posti in cui posso andare»). O come la pensino (Jada Pinkett Smith: «Ogni voce che sentiamo merita di essere ascoltata e rispettata»).
Una visione che l’ex first lady, a sorpresa ospite della serata, ha da sempre incarnato, al punto da non riuscire quasi a prendere la parola perché sovrastata dagli applausi di un pubblico che non potrebbe essere più lontano da Trump e più vicino a lei. «La musica mi ha sempre aiutato a raccontare chi sono. Che ci piaccia il country o il rap o il rock, la musica ci aiuta a condividere noi stessi, la nostra dignità, la nostra tristezza, le nostre speranze e gioie. Ci permette di ascoltarci, di avere uno scambio continuo».
Un discorso di pochi attimi, ma accolto da un’ovazione — dal pubblico del teatro come sui social — che si è trasformata in un urlo dell’altra America al resto del pianeta, come dire: noi siamo anche questo, «This is America». Non solo quella rappresentata con spietata schiettezza da un altro protagonista della serata (presentissimo nonostante la sua scelta di disertare la cerimonia): Childish Gambino, l’alter ego musicale dell’attore Donald Glover, che ha conquistato quattro grandi vittorie con il suo provocatorio «This Is America», racconto senza filtri del razzismo, delle discriminazioni e dell’uso scellerato delle armi negli Stati Uniti. L’artista ha trionfato nella categoria più importante, con il premio per la canzone dell’anno ma anche per il miglior video, la miglior performance rap e la produzione dell’anno (che premia tutto il team).
Altra assenza di spicco, quella di Ariana Grande, in polemica con la produzione, ma che ha comunque vinto il suo primo Grammy come «Best Pop Vocal Album», con «Sweetener». Se lei non c’era, super presenti erano invece quasi tutte le sue colleghe. Non solo quelle che hanno vinto, come la cantante country Kacey Musgraves, che si è aggiudicata il grammofono d’oro con il maggior peso specifico: album dell’anno con «Golden Hour» o Cardi B, che con «Invasion of Privacy» è stata la prima donna a trionfare nella categoria miglior album rap.
In generale, delle 17 performance della serata solo 4 sono state di uomini: l’opposto di quanto accaduto lo scorso anno. Per questo, nonostante non fosse dichiarato, in molti hanno scorto un messaggio politico in questa edizione degli Oscar della musica. Non tanto nei discorsi, ma in quella supremazia femminile fatta di volti e voci come Miley Cyrus, Katy Perry, Dua Lipa (miglior nuovo artista), Carlile, H.E.R. (due statuette: migliore album e migliore performance R&B), Camila Cabello, Lady Gaga (suoi tre grammofonini, tra cui quello per il migliore duo pop, con Bradley Cooper per «Shallow») o Dolly Parton e Diana Ross, celebrate per la carriera. «Continuiamo ad ascoltarci e ad amarci», ha concluso Alicia Keys. Come dire, facciamo che questi Grammy non siano solo un caso.