Pamela, il delitto e un processo che riguarda tutti
Macerata, la madre della 18enne: «Lui non ha avuto il coraggio di guardarmi»
Un imputato e molti convitati di pietra. Il processo a Macerata per la morte di Pamela Mastropietro, un anno dopo i terribili fatti, non è soltanto il passaggio canonico attraverso il quale rendere giustizia alla ragazzina romana e alla sua famiglia.
«Non è stato solo lui, abbiamo testimonianze che non è stato solo Oseghale. Sono d’accordo con un processo rapido, a patto che venga fuori tutta la verità. Se mi ha guardato in aula? Non ha le palle per farlo». Alessandra Verni invece lo ha fissato a lungo, aspettando che lo spacciatore nigeriano, accusato di aver ucciso e fatto a pezzi la figlia Pamela, voltasse lo sguardo verso di lei.
Per la prima udienza in Corte d’assise a Macerata, la madre della diciottenne uccisa il 30 gennaio 2018 nell’appartamento affittato dal pusher in via Spalato, indossava la maglietta rosa dedicata alla ragazza, con l’immagine di Pamela con una corona in testa.
«Non l’ho uccisa — ha detto Oseghale dal gabbiotto degli imputati —, voglio pagare solo per quello che ho fatto». Il giovane è accusato di omicidio, violenza sessuale, vilipendio e distruzione di cadavere. Molto ruota adesso sulle tre ferite da taglio al fegato che, secondo l’accusa, avrebbero provocato la morte della ragazza, mentre per la difesa Pamela è deceduta per overdose di eroina. Dose ceduta proprio da Oseghale e consumata nella sua abitazione.
L’udienza è durata tutta la mattinata, poi il processo è stato aggiornato al 6 marzo, quando cominceranno a deporre i 40 testimoni previsti. Il primo dovrebbe essere Vincenzo Marino, compagno di cella di Oseghale nel supercarcere di Marino del Tronto (Ascoli Piceno), che riferì sulla richiesta di aiuto fatta dal nigeriano in cambio di 100 mila euro e sulla confidenza fatta dall’imputato sulla sua appartenenza al clan dei Black Cat della mafia nigeriana. Un particolare importante, visto che la famiglia di Pamela, parte civile con il comune di Macerata e il proprietario della casa dell’orrore, continua a sostenere che il 31enne alla sbarra non abbia agito da solo. Ieri mattina, davanti al tribunale blindato, slogan e insulti a Oseghale sceso dal furgone della Penitenziaria, ma anche cartelli e palloncini tricolore in ricordo di Pamela.
Clima teso in aula, dove la corte, presieduta da Roberto Evangelisti, ha subito respinto l’istanza della difesa, con gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, per la nullità di alcuni accertamenti tecnici irripetibili per la mancata notifica all’imputato in carcere. Un punto a favore dell’accusa, con il procuratore Giovanni Giorgio e il pm Stefania Ciccioli, mentre fra i consulenti ci sono Luca Russo, analista forense della Procura per l’esame dei telefonini, e la criminologa Roberta Bruzzone per la famiglia di Pamela. Il calendario del processo prevede udienze il 13, 20 e 27 marzo, il 3 e 24 aprile, l’8 e 15 maggio. Saranno sentiti Desmond Lucky, Awelima Lucky e un altro nigeriano, già accusati di concorso in tutti i quattro reati, per i quali era stata chiesta l’archiviazione, ma tuttora indagati.