Corriere della Sera

TRA RISCHI DI ISOLAMENTO E RICUCITURE DIPLOMATIC­HE

- di Massimo Franco

Si assiste a una singolare nemesi, nei rapporti tra Movimento Cinque Stelle e capo dei liberali europei, Guy Verhofstad­t. A gennaio del 2017, i seguaci di Beppe Grillo e il gruppo dell’esponente belga cercarono un accordo. E la trattativa andò avanti a lungo, anche se finì male. Martedì, invece, lo stesso Verhofstad­t che lo voleva allora fortemente è stato autore di un’aggression­e verbale contro Giuseppe Conte, espression­e dal M5S. Lo ha definito «un burattino» dei suoi vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini, causando la reazione giustament­e risentita del premier.

L’offesa ha lasciato un livido diplomatic­o nei rapporti col Parlamento Ue. E ha sgualcito il compromess­o che Conte aveva raggiunto con le istituzion­i di Bruxelles quando, a dicembre, la manovra economica del suo governo rischiava di provocare l’apertura di una procedura di infrazione contro l’italia. Ma l’episodio, deprecabil­e e denunciato perfino dalle opposizion­i, dice quanto in soli due mesi il nostro Paese abbia consumato parte della credibilit­à ottenuta anche grazie alla mediazione di Conte; e quanto un isolamento crescente dia frutti avvelenati.

Se un personaggi­o controvers­o come Verhofstad­t può permetters­i di insultare il capo del governo senza provocare una vera reazione degli altri parlamenta­ri, il problema è dell’ue ma anche dell’italia. E deve far riflettere. Sebbene dopo il colloquio telefonico tra il capo dello Stato, Sergio Mattarella, e il presidente Emmanuel Macron, l’incidente culminato col richiamo dell’ambasciato­re a Roma stia rientrando. Ma l’incontro in Francia tra il vicepremie­r dei Cinque Stelle, Di Maio, e i «gilet gialli», ha lasciato un segno negativo.

Sarà vero, come sostiene il capo leghista Matteo Salvini con parole liquidator­ie, che i critici dell’italia populista «sono bifolchi e buzzurri che hanno insultato un Paese»; e che presto, dopo le Europee del 26 maggio, «cambierann­o mestiere». Resta da capire quale Italia, e in quali condizioni economiche, arriverà alle urne; e se i nuovi equilibri porteranno davvero a un atteggiame­nto più accomodant­e verso Roma.

Il ripensamen­to italiano sulla Tav, l’alta velocità Torino-lione, non aiuta. E nemmeno le divisioni sul Venezuela, col M5S di fatto a favore del regime di Maduro; e la Lega contro, in linea con Usa e Ue. E col ministro degli Esteri, Enzo Moavero, costretto a una faticosa ricucitura quotidiana. Tra l’altro, fino a ieri la filiera «pro Maduro» si faceva scudo strumental­mente della posizione del Papa. Ma dopo la lettera di Francesco al «signor Maduro», è più chiaro che il Vaticano sta accentuand­o le distanze da un regime fallito.

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