La scoperta della competenza
Per correre alle Europee con i 5 Stelle ora contano laurea e curriculum (e diversi big sarebbero penalizzati)
Luigi Di Maio, con le nuove regole, non avrebbe alcuna chance di essere candidato all’europarlamento. L’american British Academy ha valutato il suo inglese da 5+. E in effetti il vicepremier è sempre parso riluttante all’idioma straniero. Ci provò ad Harvard (con lo sfortunato incipit «first of us... first af all») e proprio qui gli fu contestato di non essere neanche laureato. La risposta fu in puro stile 5 Stelle, precipitato di saggezza originaria, condensata nella massima «uno vale uno»: «La laurea? Gli esperti, quelli preparati, li abbiamo visti all’opera. E abbiamo visto come hanno ridotto l’italia».
Qualcosa deve essere cambiato, nel frattempo. Perché Di Maio ha annunciato un cambio di rotta. L’open candidature (fin qui l’inglese è facile), la funzione di Rousseau che serve per candidarsi alle elezioni europee, dà rilievo a una serie di competenze che seppelliscono il tradizionale egualitarismo, al ribasso, dei 5 Stelle. C’è persino un «sistema di note di merito». Tra queste ci sono «la laurea triennale o specialistica o un dottorato di ricerca o un master post-laurea». E poi «la conoscenza della lingua inglese, almeno al livello B2, intermedio superiore». Ma non è finita. A parte la diligenza paraaziendale nel partecipare alle attività della Rousseau, sono rilevanti i «meriti speciali»: menzioni e premi, anche sportivi. Viene istituita anche la casta, pardon, la categoria dei «supercompetenti», «ad alta specializzazione», che somigliano sinistramente a quelli evocati da Di Maio.
Una vera rivoluzione. Non tanto numerica: già oggi i 5 Stelle hanno il più alto numero di laureati in Parlamento. Quanto filosofica. Perché la competenza e lo studio, nel discorso pubblico dei 5 Stelle, sono sempre stati sbeffeggiati. Da una parte il popolo, con la sua saggezza antica. Dall’altra l’élite, con il suo sapere di casta, la sua competenza truffaldina. Vedi polemica su Sanremo con l’indignazione di Di Maio per l’élite golpista (le giurie speciali) che ha scelto Mahmood, sottraendo al popolo il vero vincitore, Ultimo.
Una linea battuta da tempo. Con il disprezzo per gli «scienziati», tutti al soldo delle multinazionali (del vaccino), per i «sapientoni» dell’economia, la «finanza criminale», per i «pennivendoli» dei «giornaloni», per gli intellettuali e «i radical chic». Un modello che premia il «vaffanculo» contro l’establishment, il complottismo di Carlo Sibilia sull’allunaggio e sulle scie chimiche, la medicina miracolosa del metodo Di Bella, la turbofilosofia di Diego Fusaro. Un algoritmo impazzito, nel quale studiare e sapere non contano. Con parodie tipo il video satirico della rivolta dei passeggeri contro il pilota: «Chi è lui per guidare l’aereo?». L’apoteosi finale si raggiunge con l’esaltazione del «maestro» Lino Banfi, neo commissario all’unesco, che dice parole definitive: «Basta con i plurilaureati. Io non so niente, porterò un sorriso». Prima c’era stata Laura Castelli, laurea triennale («La specialistica non l’ho mai conclusa») che liquidava la «lezione di economia» di Pier Carlo Padoan con l’inappellabile «questo le dice di lei».
Altri tempi. Ora un deputato come Sergio Battelli, che non ha laurea né diploma (ha la terza media), non metterebbe piede in Parlamento: oggi è il tesoriere del Movimento. Nonché il presidente della Commissione per le politiche dell’unione europea.