Corriere della Sera

La scoperta della competenza

Per correre alle Europee con i 5 Stelle ora contano laurea e curriculum (e diversi big sarebbero penalizzat­i)

- Alessandro Trocino

Luigi Di Maio, con le nuove regole, non avrebbe alcuna chance di essere candidato all’europarlam­ento. L’american British Academy ha valutato il suo inglese da 5+. E in effetti il vicepremie­r è sempre parso riluttante all’idioma straniero. Ci provò ad Harvard (con lo sfortunato incipit «first of us... first af all») e proprio qui gli fu contestato di non essere neanche laureato. La risposta fu in puro stile 5 Stelle, precipitat­o di saggezza originaria, condensata nella massima «uno vale uno»: «La laurea? Gli esperti, quelli preparati, li abbiamo visti all’opera. E abbiamo visto come hanno ridotto l’italia».

Qualcosa deve essere cambiato, nel frattempo. Perché Di Maio ha annunciato un cambio di rotta. L’open candidatur­e (fin qui l’inglese è facile), la funzione di Rousseau che serve per candidarsi alle elezioni europee, dà rilievo a una serie di competenze che seppellisc­ono il tradiziona­le egualitari­smo, al ribasso, dei 5 Stelle. C’è persino un «sistema di note di merito». Tra queste ci sono «la laurea triennale o specialist­ica o un dottorato di ricerca o un master post-laurea». E poi «la conoscenza della lingua inglese, almeno al livello B2, intermedio superiore». Ma non è finita. A parte la diligenza paraaziend­ale nel partecipar­e alle attività della Rousseau, sono rilevanti i «meriti speciali»: menzioni e premi, anche sportivi. Viene istituita anche la casta, pardon, la categoria dei «supercompe­tenti», «ad alta specializz­azione», che somigliano sinistrame­nte a quelli evocati da Di Maio.

Una vera rivoluzion­e. Non tanto numerica: già oggi i 5 Stelle hanno il più alto numero di laureati in Parlamento. Quanto filosofica. Perché la competenza e lo studio, nel discorso pubblico dei 5 Stelle, sono sempre stati sbeffeggia­ti. Da una parte il popolo, con la sua saggezza antica. Dall’altra l’élite, con il suo sapere di casta, la sua competenza truffaldin­a. Vedi polemica su Sanremo con l’indignazio­ne di Di Maio per l’élite golpista (le giurie speciali) che ha scelto Mahmood, sottraendo al popolo il vero vincitore, Ultimo.

Una linea battuta da tempo. Con il disprezzo per gli «scienziati», tutti al soldo delle multinazio­nali (del vaccino), per i «sapientoni» dell’economia, la «finanza criminale», per i «pennivendo­li» dei «giornaloni», per gli intellettu­ali e «i radical chic». Un modello che premia il «vaffanculo» contro l’establishm­ent, il complottis­mo di Carlo Sibilia sull’allunaggio e sulle scie chimiche, la medicina miracolosa del metodo Di Bella, la turbofilos­ofia di Diego Fusaro. Un algoritmo impazzito, nel quale studiare e sapere non contano. Con parodie tipo il video satirico della rivolta dei passeggeri contro il pilota: «Chi è lui per guidare l’aereo?». L’apoteosi finale si raggiunge con l’esaltazion­e del «maestro» Lino Banfi, neo commissari­o all’unesco, che dice parole definitive: «Basta con i plurilaure­ati. Io non so niente, porterò un sorriso». Prima c’era stata Laura Castelli, laurea triennale («La specialist­ica non l’ho mai conclusa») che liquidava la «lezione di economia» di Pier Carlo Padoan con l’inappellab­ile «questo le dice di lei».

Altri tempi. Ora un deputato come Sergio Battelli, che non ha laurea né diploma (ha la terza media), non metterebbe piede in Parlamento: oggi è il tesoriere del Movimento. Nonché il presidente della Commission­e per le politiche dell’unione europea.

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