I talebani minacciano il piccolo fan di Messi dopo l’immagine virale
Ma chi lo dice che i talebani KABUL non sono più quelli di prima? A sentire le traversie della famiglia del piccolo innamorato del calcio Murtaza Ahmadi ben poco è cambiato dai tempi della teocrazia del Mullah Omar venti anni fa quando, tra i mille divieti, compresi quelli contro ogni forma di gioco, anche il pallone andava distrutto o nascosto in cantina. Pena: decine di frustate da parte delle pattuglie barbute «contro il vizio» per la «difesa della morale e della virtù».
L’incontro nel 2016 di Murtaza, che allora aveva cinque anni, con Lionel Messi venne immortalato in una foto che divenne virale sui social. Era stata preceduta da un’immagine del bambino che mostrava una busta di plastica su cui era stata disegnata la maglietta del calciatore. Pochi mesi dopo il suo sogno divenne realtà con il loro abbraccio sul campo di calcio del Qatar dove era in corso un amichevole e Messi gli regalò una sua vera maglietta firmata e un pallone di cuoio.
Ma adesso quei regali Murtaza ha dovuto abbandonarli in fretta e furia sotto la minaccia di venire rapito o addirittura assassinato dalle milizie talebane in continua avanzata nelle aree contese del Paese. Tra queste c’è anche la regione di Ghazni, a sud di Kabul, dove si trova l’abitazione della famiglia Murtaza. «Uomini delle milizie locali hanno iniziato a telefonarci dicendo: “Ora che siete diventati ricchi dovete darci i soldi che avete ricevuto da Messi e prenderemo vostro figlio”. Abbiamo dovuto metterci in salvo», racconta ai media locali la madre Shafiqa. Non c’è stata scelta. Così sono sfollati veloci verso Kabul quando hanno sentito avvicinarsi i rumori degli scontri armati. «Non abbiamo potuto prendere alcun bagaglio, siamo partiti solo con le nostre vite», aggiunge. La loro è una famiglia di etnia Hazara, in genere la più perseguitata dagli estremisti Pashtun che sostengono i talebani. Le Nazioni Unite specificano che oltre 4.000 Hazara hanno lasciato l’area negli ultimi giorni.
Di recente Ghazni è stata parzialmente liberata dalle forze regolari afghane sostenute dall’aviazione americana. Però nessuno si sente sicuro. I villaggi restano zone di guerra. «Voglio la mia maglietta e il pallone, voglio giocare», si lamenta Murtaza. Spera che il padre Arif, rimasto a lavorare nel loro villaggio di Jaghori, possa riportarglieli. Ma la strada per Kabul è insicura.