Paillettes, boa di struzzo e nostalgia
Michael Kors rilegge le notti allo Studio 54. Philipp Plein e l’«affaire» Kanye West
Nostalgia canaglia. NEW YORK Michael Kors riporta a New York le notti degli eccessi e della spensieratezza dello Studio 54, la discoteca dove tutto era possibile che fosse simulare lo sbarco sulla luna o entrare al passo con un cavallo bianco. «Traslocando — racconta lo stilista — ho trovato le foto di quella mia vita da ragazzo e non ho resistito». E con Copacana dal vivo cantata da Barry Manilow (l’originale, sì), il party è stato come allora: animato da bellissime che, se non fosse anagraficamente impossibile, potevano essere Bianca Jagger o Diane Von Furstemberg o Diane Ross o Liza Minelli scatenate con le loro chiome esagerate e quei boa di mongolia colorata, i cappotti di pelle patchwork, le gonne asimmetriche, i jeans a zampa, i picot da marinaio, gli abiti di paillette, gli short sotto i blazer, le tute glitter, gli stivali stringati, gli scaldamuscoli di cashmere.
Un guardaroba davvero ricco di riferimenti ma aggiornato in tagli e materiali. Con (strepitosa) l’uscita finale di Patti Hansen (moglie di Keith Richardson dei Rolling Stone) in tailleur glitter.
Ed è big surprise anche da Philipp Plein che esce in passerella con un devastato Micky Rourke abbracciato al suo cagnolino al termine del suo show Billionaire (già presentato a Milano) con i modelli «master» dai capelli bianchi. Più applausi al playboy che fu che a Maluma, sparring dello stilista tedesco dopo la sfilata omonima: un trionfo di piumone, piumini e pelli e frange. Non male, comunque. Ma al The Grill, il ristorante da trecento dollari a coperto, che Plein ha scelto per lo show, non si parla d’altro che dell’affaire Kanye West. I siti di gossip di Manhattan raccontano di una collaborazione saltata fra i due per via di un falso procuratore che si sarebbe intascato il denaro (si dice 900 mila dollari) pattuito fra cantante e stilista. Dall’azienda solo smentite, dall’altra parte il silenzio.
È il Black Mountain College, il college liberal che influenzò per due decenni l’avanguardia americana fra le due guerre, ad ispirare Tory Burch e a vestire così le sue giovani wasp d’oggi. I colori e le geometrie di Kooning, Rauschenberg e Albers spolverano e tagliano gli abiti scivolati e danzanti e le bluse fru-fru, fra jersey stampati e sete. Poi pantaloni ampi e i cappotti di maglia e frange, le tuniche decò, i montoni, i blazer ma anche semplicemente i pullover con le braghe check.
Il ritorno a casa di Proenza Schouler dopo due stagioni a Parigi è carico di energia. Il viaggio nella vecchia Europa sembra avere addolcito e alleggerito lo stile.
Gli over size maschili sono ora più rispettosi delle forme femminili. E se ci sono i tailleur maxi sono in tessuti morbidi e i vestiti «scultura» in jersey di maglia come tanti i pullover girocolli o le creazioni di plissé scivolate.
Continua il lavoro sulla storia americana Stuart Vevers per Coach. Radici che parlando di moda, si ritrovano nella pelle, nei montoni, nel tartan, nello sportwear, nel concetto di protezione, dell’over size, del funzionale. Un nuovo artista amato qui, Kaffe Fasset, da cui attingere per colori e decori (fiori, macchie, animalier) e dar forza a quelle sovrapposizioni che sono lo stile di Coach: bermuda check sotto l’abito di chiffon e il parka.