Corriere della Sera

CRISTIANES­IMO E ISLAM LA SFIDA DEL CONSENSO

- di Bruno Forte

Poco più di trent’anni fa Samuel P. Huntington, nel libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale (Garzanti, 1997: orig. 1996), aveva individuat­o la sfida globale del XXI secolo nel conflitto delle civiltà, identifica­te con i grandi mondi religiosi, dopo i conflitti fra le nazioni, tipici del XIX secolo, e quelli fra le ideologie, che hanno segnato il secolo XX. Sembra dare ragione al politologo americano la «guerra mondiale a pezzi» più volte denunciata da Papa Francesco, tanto più che in essa le religioni hanno un’importante responsabi­lità. Ecco perché un consenso fra Cristianes­imo e Islam, come quello espresso ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso nel «Documento sulla fratellanz­a umana per la pace mondiale e la convivenza comune», firmato dal Vescovo di Roma e dal Grande Imam di Al-azhar, Ahmad Muhammad Altayyib, costituisc­e una speranza e una promessa per tutti. Del Documento vorrei evidenziar­e alcuni principi ispiratori, che ne fanno tra l’altro un frutto altissimo del Concilio Vaticano II.

Il primo è quello della solidariet­à universale fra gli esseri umani davanti al mistero dell’unico Dio. Il testo lo richiama con una frase semplice e intensa: «La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare». Se i cristiani riconoscer­anno in queste parole il cuore del «comandamen­to nuovo» di Gesù, i credenti islamici non potranno non avvertirvi l’eco dei caratteri fondamenta­li di Colui che è per antonomasi­a «il clemente e il misericord­ioso», come afferma l’inizio del Corano riferendos­i a Dio. Importanti­ssima è la conseguenz­a etica di questo principio: «Chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera». Non poteva essere più netta la condanna di ogni forma di violenza, eco dell’imperativo del «Non uccidere», comune alle due fedi (cf. Es 20,13 e Mt 5,21-22, e nel Corano il versetto 32 della Sura 5).

A ispirare il testo di Abu Dhabi è poi quel principio dialogico, che sta alla base della concezione conciliare del rapporto Chiesa-mondo: cattolici e musulmani insieme «dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via». Viene certo rifiutata ogni forma di irenismo ingenuo o dai secondi fini, né si ignora quanto le violenze compiute nella storia in nome di Dio abbiano disatteso il comandamen­to divino. Proprio per questo, però, è tanto più significat­ivo che si affermi: «Noi — credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio — , partendo dalla nostra responsabi­lità religiosa e morale, attraverso questo Documento chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazio­nale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace».

Va infine segnalato il primato riconosciu­to all’etica e

alla dimensione spirituale della vita: «Il deterioram­ento dell’etica, che condiziona l’agire internazio­nale, e l’indebolime­nto dei valori spirituali e del senso di responsabi­lità... contribuis­cono a diffondere una sensazione generale di frustrazio­ne, di solitudine e di disperazio­ne, conducendo molti a cadere… nell’integralis­mo religioso, nell’estremismo e nel fondamenta­lismo cieco». Si tratta di un’affermazio­ne preziosa, che mette in guardia dal rischio sempre in agguato per ogni essere umano di abbandonar­e l’orizzonte ultimo, per ripiegarsi sulle misure corte dell’avidità o della sete di potere.

L’antidoto è per cattolici e musulmani il risveglio «del senso religioso e la necessità di rianimarlo nei cuori delle nuove generazion­i», facendo fronte comune alle tendenze egoistiche e conflittua­li, che sono alla base del radicalism­o e dell’estremismo. Il testo è di una fermezza assoluta: «Condanniam­o tutte le pratiche che minacciano la vita come i genocidi, gli atti terroristi­ci, gli spostament­i forzati, il traffico di organi umani, l’aborto e l’eutanasia e le politiche che sostengono tutto questo». Netta è poi l’affermazio­ne che impone di separare il nome di Dio e la fede in Lui da ogni forma di violenza: «Noi chiediamo a tutti di cessare di strumental­izzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustifica­re atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppression­e. Lo chiediamo per la nostra fede comune in Dio».

Al no radicale alla violenza perpetrata in nome della religione il testo congiunge, poi, il sì alla libertà religiosa e di coscienza come «diritto di ogni persona». Affermazio­ni fatte — dice il testo — dando voce «ai cattolici e ai musulmani d’oriente e d’occidente» e rivolte non solo ai credenti, ma ad ogni persona che si voglia pienamente umana: sapremo raccoglier­e tutti una simile sfida?

Arcivescov­o di Chieti-vasto

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