Corriere della Sera

Per la Cina inizia la fase sobria

- di Danilo Taino Statistics Editor

Nel 2015, la Cina ha investito all’estero l’equivalent­e di 205 miliardi di dollari in transazion­i in una serie di settori, in particolar­e dell’energia, dei trasporti, dell’immobiliar­e. Nel 2016 è arrivata a 271 miliardi. Nel 2017 a 280. Ma l’anno scorso, l’investimen­to è caduto a 179 miliardi. Il calo è uno dei segni più evidenti delle difficoltà non solo dell’economia cinese ma anche delle battute d’arresto che la spinta espansioni­sta di Pechino sta incontrand­o nel mondo. Sarà uno dei temi politici ed economici più rilevanti del 2019 e oltre. I dati vengono dal China Global Investment Tracker, un servizio che raccoglie le informazio­ni sulle attività estere del Paese, pubblicato dall’american Enterprise Institute. Ancora più interessan­te è notare che la diminuzion­e è stata particolar­mente accelerata prima negli Stati Uniti e poi anche in Europa. Nel 2016, interessi cinesi hanno investito 54 miliardi di dollari negli Usa: poi, probabilme­nte anche in ragione del conflitto con la Casa Bianca di Donald Trump, la cifra è scesa a 25 miliardi nel 2017 ea 10,6 l’anno scorso. Il picco massimo in Europa, invece, gli investimen­ti delle entità del Regno di Mezzo lo hanno raggiunto nel 2017,a 104,5 miliardi di dollari: l’anno scorso, nonostante la mancanza di un conflitto come quello con Washington, sono invece arrivate solo a 46,9 miliardi. I problemi di Pechino sono di due ordini. L’espansione internazio­nale attraverso la Belt and Road Initiative — la cosiddetta Nuova Via della Seta che è uno dei maggiori programmi del presidente Xi Jinping — trova opposizion­i sempre più solide, dal Pakistan alla Malesia fino alle Maldive, da parte di governi che temono di cadere nella «trappola del debito» se accettano i prestiti che Pechino propone loro per realizzare infrastrut­ture (costruite poi da aziende cinesi). Il secondo grande problema è il rallentame­nto dell’economia. Non è solo il fatto che il Pil è cresciuto l’anno scorso del «solo» 6,6%, la percentual­e più bassa dal 1990. È che l’indice di fiducia Merics, misurato dal Mercator Institute for China Studies, è sceso sotto quota cento (a 96,77), a indicare che le aspettativ­e di imprese e famiglie volgono al negativo. Le esportazio­ni sono scese del 4,4% e le importazio­ni del 7,6%. Anche l’indice dell’occupazion­e tende al negativo. Non è la fine del fenomeno Cina. Ma è l’inizio di una fase molto più sobria.

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