Corriere della Sera

Autonomia, l’alt dei 5 Stelle

E alla Camera bagarre sul referendum: lite tra Pd e Fico, che poi si scusa

- Dino Martirano

Il treno dell’autonomia regionale si è fermato. Annunciato in partenza e diretto alle tre regioni del Nord che ne avevano fatto richiesta (Veneto, Lombardia, Emilia-romagna), non è si mosso dal binari del consiglio dei ministri. I 5 Stelle hanno fermato tutto: «No a cittadini di serie A e B». La Lega ha ribadito che il treno ha solo subito uno stop, ma partirà presto. Mentre in consiglio dei ministri si litiga, alla Camera c’è stato un duro scontro tra il Pd e il presidente Fico durante la discussion­e sul referendum costituzio­nale. Intanto bisogna ripartire daccapo sulle chiusure domenicali dei negozi.

ROMA I ministri del M5S non sono arrivati impreparat­i al ruvido confronto con i colleghi della Lega sull’autonomia regionale. Salute, Infrastrut­ture, Beni Culturali, Ambiente, Energia, Lavoro, Mezzogiorn­o: materia per materia, i grillini che siedono al governo hanno messo di traverso sul tavolo circolare del Consiglio dei ministri robusti paletti da piantare lungo la strada del regionalis­mo differenzi­ato chiesto dai governator­i leghisti del Veneto e della Lombardia e dall’emilia a guida Pd. Una procedura che, per il M5S, sta andando avanti «troppo di fretta» e in «modalità troppo riservate».

La Lega, in un dialogo tra sordi, prova comunque a incassare: «Si è chiusa la fase tecnica, con un giorno di anticipo. Tutti i ministeri hanno dato un contributo», ha azzardato la ministra Erika Stefani (Affari regionali).

La posta in gioco nella maggioranz­a è altissima, anche perché si è innescata una contrappos­izione tra Nord leghista e Sud grillino: «I tre disegni di legge che recepirann­o le intese tra il governo e le tre regioni vanno considerat­i inemendabi­li», emerge tra le righe dei testi arrivati in Consiglio dei ministri che, secondo lo stesso Matteo Salvini, sono assimilabi­li al procedimen­to per le intese tra Stato e confession­i religiose diversa dalla cattolica (articolo 8 della Costituzio­ne). Ma sul punto, il M5S non molla. E l’uomo ombra dei grillini che studia da sempre il dossier autonomie — il senatore napoletano Vincenzo Presutto, commercial­ista di rango, vice presidente della Bicamerale per il federalism­o fiscale — arriva a dire che la «procedura proposta dalla Lega è incostituz­ionale» e che «i ricorsi alla Consulta sarebbero scontati: perché non si può imporre al Parlamento una semplice ratifica di un’intesa che limita i poteri delle Camere».

La frenata del treno dell’autonomia differenzi­ata si intuiva già dalla lettura dell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri: «Comunicazi­oni in merito ai procedimen­ti in corso ai sensi dell’articolo 116...». Poi è arrivata una dichiarazi­one «difensiva» della ministra Stefani: «La procedura non prevede che il Consiglio dei ministri voti i testi. Siamo consapevol­i che il percorso non è ancora concluso». Infine, poco prima che la ministra leggesse in Consiglio la sua relazione, il M5S ha diffuso un report costi-benefici dell’autonomia regionale: «Il ruolo del Parlamento è a rischio. No a cittadini di serie A e di serie B. No alla secessione dei ricchi». E così, in un gioco di specchi, anche Salvini si è acconciato a dire «non ci saranno cittadini di serie A e B», annunciand­o un «vertice politico» con Conte e Di Maio.

Giuseppe Brescia (M5S), presidente della commission­e Affari costituzio­nali, spiega che «ora serve un dibattito in Parlamento». Lo schema grillino prevede che vadano rispettati i passaggi della riforma del federalism­o fiscale avviata nel 2001 dal leghista Calderoli: stabilire per legge i livelli essenziali delle prestazion­i, da garantire su tutto il territorio nazionale, per fissare poi i fabbisogni standard e varare il fondo perequativ­o. Concorda Silvio Berlusconi: «Più autonomia alle Regioni ma bisogna dare anche al Sud».

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