Corriere della Sera

LA DROGA E I NOSTRI RITARDI

- di Antonio Polito

C’è una nuova emergenza droga tra gli adolescent­i. L’inchiesta del Corriere lo sta testimonia­ndo oltre ogni dubbio. L’eroina è tornata, ma è diversa per qualità e costo. Nuove sostanze hanno creato nuovi consumator­i. Sempre più spesso i ragazzi non sanno neanche bene che cosa stanno assumendo, e per questo la soglia di percezione del rischio si è abbassata. In termini medici sono definite «poliassunz­ioni», ma i giovani le chiamano il «mischione», mix di droghe più o meno pesanti, fumate, ingerite o iniettate. Le norme che regolano il sistema della prevenzion­e e dell’assistenza risalgono agli anni 90 del secolo scorso, e furono scritte per un fenomeno del tutto diverso. Nuovi problemi emergono, e richiedono una riflession­e seria e senza preconcett­i.

1) I ragazzi che si drogano hanno bisogno di un aiuto prima che sia troppo tardi. La loro salvezza è questione di tempo. E invece la prima rete di intervento sul territorio è debole, con poche risorse, spesso inadatta ai più giovani.

I Serd (Servizi per le dipendenze patologich­e) non sempre sono la porta d’ingresso migliore per chi incontra le droghe per la prima volta, e questo al di là dell’impegno e della dedizione con cui tanti operatori lavorano. Tarati sulla gestione dei tossicodip­endenti cosiddetti «cronici», di lunga durata e di età matura, «gestiti» con il metadone, ai nuovi arrivati non possono offrire molto di più che un colloquio psicoterap­eutico e dei farmaci.

P ur erogando direttamen­te servizi di assistenza, i Serd regolano e controllan­o anche la spesa sanitaria presso operatori privati come le comunità terapeutic­he, e per questo tra i due sistemi si può creare diffidenza e incomprens­ione.

2) L’ingresso in comunità per gli adolescent­i è difficile, e il processo è troppo lento. Se un medico prescrive un periodo anche breve di ricovero, perché l’asl riconosca la spesa la famiglia deve ingaggiare un avvocato. Il potere di decidere è di fatto affidato a una complessa procedura amministra­tiva; oppure, ma quando le cose sono già precipitat­e, al giudice minorile. Le comunità adatte ai più giovani sono poche e piene, e le Regioni che pagano privilegia­no quelle sul proprio territorio, riducendo così ancora di più la disponibil­ità complessiv­a. Il paradosso oggi è questo: se mio figlio si ammala, posso portarlo in qualsiasi ospedale d’italia per curarlo. Se comincia a drogarsi, non tocca a me decidere se, quando e dove potrà essere curato.

3) La «residenzia­lità», anche solo diurna, che spezza il legame con l’ambiente «tossico», è essenziale, perché drogarsi è un fenomeno sociale e culturale, non solo sanitario. Chiama in gioco una trama di rapporti. Ha un suo rito simbolico, che si svolge intorno alla sostanza. Richiede dunque un intervento educativo, che separi il giovane dalla dipendenza dal gruppo e dai luoghi dello spaccio, oltre che dalla droga. La sostanza è irresistib­ile. Innumerevo­li sono i casi di disintossi­cazioni riuscite che finiscono in ricadute non appena il ragazzo torna a contatto con i contesti di attrazione e di disponibil­ità, come il boschetto di Rogoredo a Milano, il girone infernale raccontato dall’inchiesta del nostro Gianni Santucci.

4) I genitori non sanno che fare. Sono disperati. Uno di loro ha raccontato sul Corriere a Elisabetta Andreis qualcosa che può apparire terribile, ma è invece esperienza comune. Andare in comunità è così difficile che molti padri e madri sperano con tutto il cuore che i loro figli siano fermati e processati per un reato. Certe volte li denunciano addirittur­a. È l’unico modo perché sia un giudice minorile, verificata la pericolosi­tà per gli altri, a disporne il ricovero in comunità.

5) Tra le dipendenze (i Serd si occupano anche di quelle da alcolismo, ludopatia, Internet) e le sindromi c’è un sottilissi­mo confine. Anzi, molti studi dicono che l’uso di sostanze, a partire dalla marijuana, è prima di tutto un indicatore di disagio psichico. Però in Italia i canali di cura sono separati, e le strade tra i Serd e i servizi psichiatri­ci si incontrano solo nel caso delle cosiddette «doppie diagnosi», ragazzi con problemi psichici e dipendenza insieme (come Pamela, uccisa un anno fa a Macerata). In alcune regioni, come la Lombardia, si sta infatti sperimenta­ndo un coordiname­nto tra Serd e servizi psichiatri­ci.

6) C’è poi il problema enorme e delicatiss­imo di come convincere-spingere un adolescent­e a curarsi. I ragazzi fino Rogoredo Una siringa lasciata da un tossicodip­endente nel bosco di Rogoredo, alla periferia di Milano un certo punto sono sicuri di farcela ancora, e poi diventano sicuri di non potercela fare mai più. Come e dove possono incontrare una persona, un salvagente umano, che tocchi loro il cuore e mostri che una strada c’è? Come può la potestà genitorial­e favorire questo processo, senza ledere la libertà del minore? La questione interpella anche la sensibilit­à dei giudici e dei tribunali, ma richiede una rivisitazi­one delle norme. È possibile che un padre debba sperare che il figlio compia un reato per poterlo ricoverare in comunità?

Queste evidenti lacune del sistema, alle prese con problemi del tutto nuovi, e altre ancora (come il marketing e il business sempre più aggressivo connesso alla produzione e alla diffusione delle droghe cosiddette leggere, di cui negli Usa anche ambienti liberal e antiproibi­zionisti cominciano a preoccupar­si seriamente) richiedono una profonda

di droga in Italia nel 2019: 17 per eroina, uno per speedball, uno per metadone non prescritto. In 12 casi la sostanza non è stata determinat­a riconsider­azione. Non a caso la legge del ‘90 prevedeva una Conferenza nazionale sulle droghe da tenersi ogni tre anni per verificare con operatori, esperti e poteri pubblici come stessero andando le cose e quali cambiament­i si rendessero necessari. Quella Conferenza non si tiene invece da undici anni. Crediamo che debba essere finalmente convocata di nuovo. In realtà la confusione di competenze è tale che non sappiamo neanche bene a chi chiederlo. Il Dipartimen­to per le politiche antidroga è presso la presidenza del Consiglio, ma la prevenzion­e dagli anni Duemila spetta alle Regioni, le quali però hanno dovuto nel tempo tagliare sempre più i budget. Alla Salute c’è un ministro che si è schierato a favore della legalizzaz­ione delle droghe leggere, e in ogni caso nel nostro ordinament­o ha competenze in materia assai limitate. La delega fu passata anni fa al Welfare, che si occupa di assistenza. Ma da qualche tempo è stata data alla Famiglia, intesa come ministero. Perché non resti sulle spalle della famiglia, intesa come nucleo familiare dei ragazzi tossicodip­endenti, pensiamo dunque di dover rivolgere questo appello al ministro Fontana, sperando che ci ascolti.

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Le vittime

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