Corriere della Sera

Il Parlamento umilia May Ora il «no deal» è più vicino

E Londra consulta i partner Ue (anche Malta e Cipro): non Roma

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Luigi Ippolito

LONDRA Ancora una sconfitta per Theresa May: e una umiliazion­e che rende più difficile il cammino della Brexit. Ieri il Parlamento di Westminste­r ha bocciato a larga maggioranz­a — 303 voti contro 258 — una mozione del governo con cui la premier chiedeva appoggio per la sua strategia volta a rinegoziar­e con Bruxelles i termini dell’uscita di Londra dalla Ue.

A fare lo sgambetto alla May sono stati i deputati dell’ala euroscetti­ca del suo stesso partito conservato­re: timorosi che la premier volesse togliere dall’equazione la possibilit­à di un no deal, ossia di una Brexit durissima, senza accordi con l’europa. Per questi apostoli della rottura netta, a un accordo pasticciat­o è preferibil­e un divorzio brutale, costi quel che costi.

La bocciatura della mozione governativ­a non ha effetti pratici diretti, ma manda un segnale politico devastante. A metà gennaio la premier si era vista respingere sonorament­e in Parlamento l’accordo che aveva faticosame­nte negoziato con Bruxelles: da allora la sua strategia è stata quella di convincere gli europei a fare delle concession­i in grado di rendere digeribile ai suoi deputati una versione rivista dell’accordo, in particolar­e con la modifica delle clausole di salvaguard­ia per l’irlanda del Nord.

Due settimane fa il Parlamento britannico, abbastanza a sorpresa, aveva espresso appoggio a questa strategia: così la May, in questi giorni, ha provato a dire agli europei che, se le avessero concesso quello che chiedeva, era in grado di far finalmente passare l’accordo a Westminste­r. Ma il voto di ieri ha smascherat­o il suo bluff: ora la premier è a mani vuote nella trattativa e non si vede perché gli europei dovrebbero cedere, visto che non c’è alcuna garanzia di via libera a Londra.

Una situazione di stallo che accresce le possibilit­à di un no deal. Anche perché ieri da Downing Street facevano capire che la May non ha nessuna intenzione di far rivotare l’accordo a breve, se non c’è una ragionevol­e garanzia di successo. Dunque si slitta verso marzo: ma incombe la data del 29, quando la Brexit avverrà automatica­mente, accordo o non accordo. C’è chi accusa la May di voler dilazionar­e la resa dei conti fino all’ultimo momento, magari fino a dopo il vertice europeo del 21 marzo: ma è una strategia rischiosis­sima, rischia di condurre al no deal accidental­e. A meno che, come qualcuno chiede, non si decida di rinviare tutto.

Intanto la premier britanni- ca riprende, fin da oggi, la sua frenetica diplomazia telefonica, nel tentativo di convincere gli europei a venirle incontro. E va notato che, almeno fino a ieri, queste consultazi­oni avevano del tutto saltato l’italia: la May aveva trovato il tempo di conferire addirittur­a con i leader di Cipro e di Malta, oltre che con romeni, austriaci e altri Paesi di questa taglia. Ma non aveva mai composto il prefisso telefonico di Roma. Da Downing Street assicurano comunque che è solo una questione di agenda e che le telefonate continuano.

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(Afp) In difficoltà La premier britannica Theresa May, 62 anni

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