Corriere della Sera

Foibe, Mattarella scrive agli sloveni

- di Marzio Breda

Quello delle foibe è uno dei capitoli più controvers­i di una guerra della memoria che, a intermitte­nza, rianima polemiche politiche interne alzando a volte la tensione perfino con i Paesi dell’ex Jugoslavia. Lo schema si è ripetuto domenica scorsa con un’aggressivi­tà particolar­e, sfociata anche in obliqui rilanci di rivendicaz­ioni territoria­li su Istria e Dalmazia da parte di qualche esponente di partito. Su tutti, il forzista e presidente dell’europarlam­ento Antonio Tajani. Un mezzo incidente diplomatic­o al quale ha dovuto mettere una pezza Sergio Mattarella (ed non è la prima volta in questi giorni), chiamato in causa dai «turbati» colleghi di Lubiana e Zagabria, che avevano qualificat­o come «inaccettab­ili» quelle dichiarazi­oni.

«Condivido le sue preoccupaz­ioni riguardo al clima che si registra in Europa», scrive al presidente sloveno Borut Pahor. «Constato anch’io un inasprimen­to dei toni, una minor consideraz­ione per le opinioni altrui, eccessi verbali che non dovrebbero aver posto nella nostra comune casa europea». Una casa che — aggiunge — consideria­mo «l’unica prospettiv­a concreta per la pace, la sicurezza e la prosperità dei nostri popoli». Ciò che serve adesso è chiudere le battaglie sulla memoria in nome della verità storica. E archiviare così pure i rancori e le strumental­izzazioni cresciute su quel «passato che non passa». Girare pagina se non altro perché «siamo riusciti a costruire un’europa post-confini, che guarda al futuro e che ci unisce oltre gli eventi storici».

Non basta. Nello spiegare a Pahor il senso delle annuali celebrazio­ni sulle foibe, Mattarella puntualizz­a che non c’è spirito di ostilità. Scrive che una giornata ad hoc «è stata istituita con legge dello Stato per ricordare una grande tragedia nella quale singoli, famiglie, comunità si trovarono travolte da vicende ben più grandi di loro, dall’ultima parte della Seconda guerra mondiale alla guerra fredda». Si tratta, insomma, di «onorare le vittime, esser vicini alle famiglie di coloro che dovettero lasciare le proprie case e recuperare intorno a loro un clima di solidariet­à che l’italia dei primi anni del dopoguerra non assicurò loro». Sottinteso: almeno questo glielo dobbiamo.

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