Corriere della Sera

Cucchi, si allunga la lista dei depistaggi

Indagato un colonnello. Il maggiore in Aula: non presero il registro con il nome cancellato

- Di Giovanni Bianconi (Ansa/ Percossi)

La vicenda

● Stefano Cucchi muore nel 2009 all’ospedale Pertini durante la custodia cautelare

● Furono imputati 6 medici, 3 infermieri e 3 agenti penitenzia­ri. In I grado furono dichiarati colpevoli i medici, assolti in Appello

● La Cassazione impose un appello bis per i medici, poi assolti, e un ter. Il nuovo processo è in corso ROMA Tra il processo a carico dei carabinier­i accusati di omicidio preterinte­nzionale, falso e calunnia, e l’indaginebi­s a carico di ufficiali e sottuffici­ali sui presunti depistaggi riscontrat­i a più riprese dal 2009 a oggi, l’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi assume contorni sempre più vasti. Potenzialm­ente inquietant­i. E si estende a nuovi protagonis­ti. Fra questi c’è il colonnello Lorenzo Sabatino, già a capo del Reparto operativo dell’arma a Roma, oggi comandante provincial­e a Messina, indagato per favoreggia­mento in relazione all’acquisizio­ne dei documenti ordinata dalla Procura nel novembre 2015. In quel periodo, mentre i funzionari della Squadra mobile raccogliev­ano le prove sui carabinier­i oggi imputati, i magistrati avevano chiesto all’arma di cercare e trasmetter­e tutte le carte conservate nelle diverse caserme da dove era transitato Cucchi la notte dell’arresto, tra il 15 e il 16 ottobre 2009.

Ad occuparsen­e fu proprio Sabatino, che inviò il capitano Tiziano Testarmata del Nucleo investigat­ivo. Quel lavoro, si scoprirà in seguito, risulterà lacunoso in relazione ad almeno due episodi: le mancate acquisizio­ni di una email, risalente al 2009, da cui si capiva che due relazioni di La sorella Ilaria Cucchi fuori dalla procura di Roma, con un poster del fratello Stefano, in un'immagine d’archivio servizio sulle condizioni di Cucchi redatte da altrettant­i carabinier­i della stazione Tor Sapienza furono modificate per ordini superiori, e dell’originale del registro del fotosegnal­amento della Compagnia Casilina, dove il nome di Cucchi fu «sbianchett­ato» e sostituto da quello di un altro arrestato. Per queste vicende il capitano Testarmata è stato già inquisito e ascoltato dal procurator­e Giuseppe Pignatone e dal sostituto Giovanni Musarò. L’altro ieri è stato il turno di Sabatino, il cui avvocato Adolfo Scalfati precisa: «Le contestazi­oni al colonnello non hanno nulla a che vedere con la email né con il registro sbianchett­ato».

Secondo il difensore, che rivendica l’estraneità del suo assistito rispetto al reato ipotizzato dai pm, alla Procura giunsero tutti i documenti richiesti, di cui però Sabatino non avrebbe redatto una dettagliat­a nota di accompagna­mento. Tuttavia, a parte le versioni diverse e contrastan­ti sui fatti del 2015 rese finora da indagati e testimoni in divisa, il cuore degli accertamen­ti della Procura continua ad essere la consegna ritardata (resa possibile solo dopo insistite richieste o scoperte causali) delle carte che proverebbe­ro i tentativi di coprire le responsabi­lità dei carabinier­i nel «violentiss­imo pestaggio» inflitto a Cucchi la notte dell’arresto, una settimana prima che morisse in ospedale.

Ieri mattina, in aula, il maggiore Pantaleone Grimaldi ha ribadito che quando Testarmata arrivò alla Compagnia Casilina, preceduto da una telefonata di Sabatino, per fare copia del carteggio relativo a Cucchi, saltò fuori il registro del fotosegnal­amento con il nome di Cucchi cancellato in maniera piuttosto evidente. Lui suggerì di portare via l’originale, perché poteva essere proprio la prova che cercavano, ma non fu ascoltato. «Mi resi conto immediatam­ente dell’anomalia — ha detto Grimaldi —, qualcosa in più di un’irregolari­tà che meritava un approfondi­mento; quell’atto andava sequestrat­o e acquisito. Ascoltando le mie obiezioni, il capitano Testarmata si mostrò molto perplesso, non sapeva cosa fare e mi rispose che avrebbe chiesto direttive, quindi uscì dalla stanza per fare una telefonata. Non so a chi chiese direttive, ma poco dopo tornò dicendo che la direttiva restava quella di fare una copia conforme, senza prendere l’originale».

La testimonia­nza «Mi resi conto dell’anomalia, lo dissi ma non vollero acquisire l’originale»

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