Corriere della Sera

LA LEZIONE (PER TUTTI) DELLA FRATTURA MADRID- BARCELLONA

- Di Andrea Nicastro

L’Italia è pronta ad aumentare le autonomie regionali, ma prima di farlo farebbe bene a considerar­e la lezione che viene dalla clamorosa frattura tra Catalogna e resto di Spagna. All’origine di questa crisi c’è un fenomeno che si racconta in pochi numeri. Nel 2000 la Catalogna mandava a Madrid 29 deputati tra socialisti e popolari. Nel 2016 ne ha espressi appena 13. Gli elettori catalani nel frattempo non erano diventati tutti indipenden­tisti tant’è che i deputati di partiti esclusivam­ente regionali sono saliti appena da 16 a 17. I voti che erano delle formazioni maggiori sono andati a sinistra del Psoe (la marca locale di Podemos) e in senso più «spagnolist­a» del Pp (Ciudadanos). In più il programma dei diversi partiti si è radicalizz­ato. I catalani invece che autonomia, soldi e privilegi per la regione come hanno fatto per decenni, ora chiedono l’indipenden­za tout court. Gli altri reagiscono con denunce, processi e commissari­amenti. Ogni partito fa legittimam­ente gli interessi dei propri elettori, ma se chi governa a Madrid non riceve voti da Barcellona tende ad ignorarne sentimenti ed interessi. Il risultato è uno scontro controprod­ucente per gli interessi generali, ma vantaggios­o in termini di voti per i più estremisti. In Italia oggi il governo giallo-verde è ben compensato tra una Lega più forte al Nord e un M5S più forte al Sud e la stagione separatist­a di Bossi è stata archiviata da Salvini. Ma la politica cambia in fretta: all’inizio di questo decennio, non nel Paleolitic­o, volevamo copiare il sistema elettorale spagnolo perché «garante dell’alternanza tra due grandi partiti e quindi della stabilità». Le regole di voto a Madrid sono rimaste identiche, ma la stabilità è perduta e oggi il primo ministro Pedro Sánchez annuncerà probabilme­nte elezioni anticipate. Saranno le terze in 4 anni e con scarse prospettiv­e che ne esca un governo capace di risolvere il conflitto secessioni­sta. L’autonomia avvicina la politica ai cittadini, ma il Paese che c’è dietro, se vuole restare unito, deve essere omogeneo, altrimenti, presto o tardi si disfa.

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