Armani: «Nei suoi dipinti la bellezza emancipata: l’essenza dell’alta Moda»
Ispirato da Boldini: «Gesti perfetti in ogni suo ritratto»
C hi conosce la moda di Giorgio Armani, sa quanto sia misurato nel parlare del percorso creativo di una collezione. Degli incontri, le scoperte, le sensibilità che lo guidano, e a volte sono un dettaglio colto al volo, a volte una lunga riflessione sull’arte. «Non so se viene riconosciuto l’influsso che spesso Boldini esercita sul mio lavoro — commenta con quel senso di realismo che lo rende unico —. Io non insisto nel dirlo. È un’annotazione tra tante, però non sento la necessità di sottolinearlo giusto per ottenere qualche commento favorevole in più».
Ma non è un caso — e il grande scrittore cristiano Georges Bernanos sosteneva che il caso ci assomiglia — se ha descritto con queste parole la sua attuale collezione di Alta Moda Privé (autunno-inverno 2018/2019). «Per alcuni vestiti mi sono ispirato alle forme del pittore Boldini e ho voluto dare un tono drammatico anche alla sontuosità dei bagliori. Il tutto rimanda all’idea che mi ha mosso fin dal principio: ricordare com’era inizialmente l’haute Couture mostrandone le vera essenza».
Delle nobildonne, delle divine che potevano essere borghesi o star del mito ma sempre regine dei salotti, a Giorgio Armani piace la nuova dimensione sociale che esprimevano: tutta basata sull’emancipazione e la libertà, conquistate giocando con la bellezza e la capacità di sedurre. «Ogni suo ritratto lascia intravvedere gesti e movimenti perfetti, che gli abiti suggeriscono e sottolineano», spiega Giorgio Armani, affascinato da questo codice chic e alla moda. Tanto che già nella collezione per l’inverno 1996 indicava «come emblema di stagione il boldiniano abito di velluto di seta appeso al collo da un collier di rose». Illustrazione perfetta della frase di Cecil Beaton, che fu tra i primi fotografi di moda del Novecento: «Boldini sapeva riprodurre la sensazione folgorante che le donne sentono di suscitare mostrandosi nei loro momenti migliori». Quando possono contare sulla complicità delle creazioni dei grandi couturier come Worth, Poiret, Doucet, le Callot Soeurs, autentici precursori di stili e tendenze che diventeranno il linguaggio del cinema e dell’immagine glamour.
Se la mostra di Ferrara indaga per la prima volta sul rapporto tra Boldini e il sistema dell’alta Moda parigina, affidando le sezioni tematiche a letterati come Baudelaire e Wilde, Proust e D’annunzio che l’hanno trattata come forma d’arte, King George afferma che è Giovanni Boldini spesso a ispirarlo. «Nei suoi contenuti più profondi, perché una donna bella secondo me è come un dipinto. Così vedo e interpreto quello che l’haute Couture può essere adesso, che è diventata chiara la profondità del rapporto che la lega con l’arte. Sono entrambe discipline della contemporaneità,
Il legame
Sempre più stretto quello tra Haute Couture e arte: nelle mostre noto lo spirito brioso del fashion
Le altre fonti
Dal rosso di Matisse al blu di Picasso. Aveva ragione Goya: l’arte non ti fa morire di troppa realtà
capaci di esprimere il moderno nei suoi aspetti più complessi. Un metodo che ormai si può vedere anche nelle mostre, con gli abiti scelti come fossero opere d’arte e opere d’arte selezionate ed esposte con lo spirito brillante del fashion».
A questo punto, qual è la natura più profonda della moda: arte o business? Giorgio Armani riflette con quella concentrazione che caratterizza ogni suo comportamento. «Penso che siano entrambe le cose. È un’espressione artistica quando supera ed eleva l’esigenza del vestire, e insieme un business. Non è diverso quello che accade con l’arte dove il successo di alcuni nomi viene costruito dall’attività dei galleristi, che riescono a inventarne il mercato».
Quello che è curioso, osservando a distanza di tempo le opere di Armani, è la vitalità del colore impiegato dallo stilista, così famoso per l’uso del beige e del grigio da aver inventato quella tonalità chiamata greige. Eppure si è ispirato a Gauguin e a Matisse nel 1993. «Amo il loro senso del colore, le vibrazioni vitali che emanano da alcune opere, tanto che l’osservazione del colore nel quadro di Matisse “Pesci rossi”, mi ha spinto a osservare con maggior attenzione gli impressionisti al punto che nel 1996 sponsorizzai a Milano una mostra a loro dedicata».
Ha ripreso nella collezione del 2000 la natura segreta dei dipinti di Kandinsky e l’anno seguente Picasso, il periodo blu «per l’intimità e il senso di malinconia che esprime». Mentre nel 2005 si è lasciato incantare dal Surrealismo. “Mi attirano Man Ray e Meret Oppenheim e sono incuriosito dagli scambi culturali tra i protagonisti dell’epoca, come Elsa Schiaparelli e Dalì. Ogni arte ha il suo momento e penso che questa relazione estetico-intellettuale lo rappresenti bene».
Siamo ai saluti quando aggiunge con una certa timidezza «La mia non è l’analisi di un critico, ma soltanto il piacere di guardare l’arte». Goya diceva che se abbiamo l’arte, è per non morire di troppa realtà. «Aveva ragione — conclude —. Perché rappresenta un soffio di vita».