La lunga marcia di Santiago Così ora tiene in pugno la destra
Il bello delle prossime elezioni spagnole è che tutti sperano di vincerle. Tra tutti, però, il più convinto, il più elettrizzato ed impaziente di scoprire quanto sarà diventato importante il 29 aprile, si chiama Santiago Abascal. Quattro mesi fa era un signore disponibile a comparire in meeting di 15 elettori potenziali, mentre ora per i sondaggisti vale anche due milioni di voti e ha discrete probabilità di entrare nella maggioranza di governo. Abascal è sull’onda giusta, le elezioni arrivano nel momento migliore possibile per Vox, il suo partito nostalgico e senza complessi dei valori franchisti.
Abascal ha 42 anni, una barbetta a punta sale e pepe, due fallimenti e un unico grande successo alle spalle. Come militante del Partido Popular non riuscì mai a vincere un seggio, ma trovò comunque il modo di collocarsi in varie agenzie controllate dall’ala destra del Pp. L’ex premier Mariano Rajoy non lo sopportava. Altri dicevano che con lui bisognava «turarsi il naso». C’è chi racconta che venne invitato a lasciare il partito, altri che fu lui a sbattere la porta. In ogni caso era evidente che nel Pp dell’ex premier Rajoy, in quel grande contenitore liberista che fungeva da anestetico per i nipotini dei gerarchi franchisti, non c’era posto per lui.
Il secondo fallimento arrivò alle elezioni europee del 2014. Uscito dal Pp, Abascal aveva fondato il suo Vox galleggiando con pochi consenti spagnolisti nei Paesi Baschi, ma soprattutto scagliandosi contro la crescente marea indipendentista catalana. Per il voto continentale, Abascal aveva scelto per capolista un altro transfuga del Pp, non un provinciale sconosciuto come lui, ma uno del calibro dell’allora vice presidente del Parlamento europeo Alejo Vidalquadras. I contatti del vecchio Vidal-quadras servirono a finanziare la campagna elettorale. Nelle casse del partito arrivarono i milioni dell’opposizione iraniana in esilio, desiderosa di mantenere i buoni rapporti con Vidal-quadras. Fondi in cambio di appoggio politico. Il voto fu però un disastro, zero eletti. Il padrino si dimise e il giocattolo Vox rimase in mano al solo Abascal. Sembrava una scatola vuota, invece da allora fu un crescendo di pensieri liberi da tabù, di una chiarezza cristallina: no alle autonomie regionali, all’aborto, ai migranti, alle moschee, ai gay e invece sì alla corrida, alla caccia, alle famiglie numerose, alla prigione per i secessionisti. Con il suo patrimonio di convinzioni Abascal è riuscito a presentarsi come «vera destra», quella indispensabile per sconfiggere la smania indipendentista catalana. E quando in Spagna si dice «vera destra» il pensiero corre al generalissimo Francisco Franco. Nel caso di Abascal e del suo Vox, in effetti, niente di più esatto: quando il governo uscente ha annunciato lo sfratto della salma dell’ex dittatore dal mausoleo de El Valle de los Caídos, la «vera destra» è insorta. «Mi piace andare nella basilica, è eccezionale» ha rassicurato i suoi.
L’exploit dell’11% dei voti andalusi a dicembre è stato il successo che l’ha portato sulla scena nazionale. Ormai il vecchio Pp non può più espellerlo: il contenitore di tutte le destre è rotto. Sul palco della grande manifestazione anti catalana di domenica scorsa a Madrid c’erano tutti e tre: il segretario dei popular passati da oltre il 50 al 20%, il segretario degli anti catalanisti liberal di Ciudadanos accreditati di un altro 20% e lui, Abascal che con il suo anti-catalanismo nostalgico potrebbe arrivare oltre il 10% e dare alle destre la maggioranza che serve loro per zittire Barcellona.
Balzo
L’exploit dell’11% nel voto andaluso è stato il successo che l’ha portato alla ribalta