Gerusalemme, visita alla più eterna delle città
To Jerusalem with love. Anni fa, il governo israeliano invitò Woody Allen a girare un film: stimato maestro, gli dissero, dopo Barcellona e Londra, Parigi e Roma, venga a battere un ciak nella più eterna delle città... Non risulta che il regista abbia mai risposto. Si capisce: qui c’è la storia del mondo e non è facile buttare in commedia un posto dove, prima o poi, si celebrerà il Giorno del Giudizio. Che cosa si può scrivere, ancora, della più descritta e promessa terra dell’umanità? Quel che cantava il Talmud («Chi non ha visto Gerusalemme, non ha visto nulla»), te lo ripeti quando ci arrivi; quel che vi sentiva Shimon Peres («Più che una città, è una fiamma: nessuno può dividere una fiamma»), lo provi se ci vivi; quel che provava un famoso sindaco gerosolimitano, Teddy Kollek («Tutti hanno due città: la propria e Gerusalemme»), te lo ricordi quando te ne vai. Due popoli, tre religioni, decine di culti, migliaia d’appetiti, rivalità terrene trattate come questioni celesti: la biografia d’israele è quella dell’uomo e ci ricorda quanta vita di tutti noi sia scorsa qui. In principio narrata dai Salmi, poi esaltata dall’ascesa di Maometto al cielo, oggi immortalata dagli hashtag della Silicon Valley israeliana. Il Corriere organizza un secondo viaggio qui per i suoi lettori (2-9 aprile) accompagnati dall’inviato del Corriere per il Medio Oriente, Francesco Battistini, e con la presenza del corrispondente da Israele Davide Frattini. Tra queste pietre si fa villeggiatura, letteratura, lotta dura: per mille anni sono state solo degli ebrei; per 400, solo dei cristiani; per 1.300, solo musulmane. Oggi, nessuno può monopolizzarne la santità e riassumerne il senso. Chi attraversa le memorie, che siano la Betlemme del presepe o lo Yad Vashem della Shoah, le grotte di Qumran o il Mar Morto, le avenue di Tel Aviv o il deserto del Negev, nessuno sa racchiudere Israele in una verità unica. Una storia sola, come una vita, non basta.