Soldini: solitario sul set, nascondeva una grande sensibilità
«Sono molto dispiaciuto, avrebbe avuto ancora tante cose da dire». Silvio Soldini apprende della morte di Bruno Ganz dal Corriere. Nel 1999 avevano lavorato insieme in Pane e Tulipani, il film rivelazione di Soldini, commedia stralunata e poetica, aria fresca e una bella leggerezza.
Perché prese Ganz?
«È la stessa domanda che mi fece lui: perché hai pensato a me, se vuoi far ridere? Gli dissi che era nelle sue corde, raccontai di aver riso molto in una scena di La donna mancina di Handke, quando vuole sporcarsi in una pozzanghera le scarpe da tennis appena acquistate. Lui rispose: ah, va bene».
Di poche parole.
«Era solitario e un po’ orso. Mi venne a prendere alla stazione di Zurigo, la sua città; ero intimidito, all’epoca avevo fatto tre soli film, apprezzati dalla critica e non così visti dal grande pubblico. Ma ero rinfrancato da un’intervista in cui Ganz aveva detto che, dopo aver visto Le acrobate, ero uno dei tre registi italiani con cui avrebbe voluto lavorare. Nel tragitto verso il ristorante, per parlare del film, ci saremo scambiati cinque parole».
E durante le riprese?
«Interpretava il cameriere che ha un passato da nascondere e parla un italiano forbito. Imparò tutto a memoria, come una poesia. Non accettava cambiamenti nei dialoghi. Non era una persona semplice. Un giorno si arrabbiò perché il titolo provvisorio era Rosalba, il personaggio di Licia Maglietta. Chiamarlo Pane e Tulipani non gli piaceva proprio».
Ma era disponibile sul set?
«Era abituato a fare i suoi ciak e a ritirarsi in camerino. All’inizio mi guardava stranito: come, mi fai rifare la scena, non ti piace quello che sto facendo? Ma aveva una grande sensibilità e umanità come attore».
Parlava di sé, il problema giovanile con l’alcol, il figlio non vedente?
«No, figuriamoci. Sapevo dell’alcol, ma era un problema superato. Beveva solo acqua. Lo ricordo come un grande camminatore».
Si definiva un uomo europeo.
«Basta vedere il cinema che ha fatto, Rohmer, Herzog, Anghelopoulos, e soprattutto Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders. La sua immagine in bianco e nero con le ali, ritratta da Henri Alekan che era stato direttore della fotografia di Cocteau, come puoi dimenticarla?». Così se n’è andato, troppo presto, l’angelo caduto in Terra che non dava pacche sulle spalle.