Nuove sanzioni Usa contro Maduro Pence agli alleati: colpire il petrolio
Il vicepresidente incontra Guaidó in Colombia. Stallo sull’intervento militare
● Gli Stati Uniti non ne fanno parte, ma la sostengono e partecipano alle iniziative del forum soltanto in qualità di «Paese osservatore». Ieri per la Casa Bianca è intervenuto il vicepresidente Mike Pence
● Al vertice del Gruppo di Lima a Bogotà ieri è intervenuto anche il presidente incaricato ad interim Guaidó
● Assenti i leader di Costa Rica e dei tre Paesi del Gruppo che non hanno riconosciuto Guaidó come presidente legittimo lo scorso 23 gennaio: Messico, Guyana e Santa Lucia WASHINGTON Le pressioni degli americani sembrano come rimbalzare sul regime di Nicolás Maduro. Ieri il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha portato il solito messaggio duro nei toni, ma generico nella sostanza al gruppo di Lima, composto da 13 Paesi latinoamericani più il Canada. Alla riunione, che si è tenuta a Bogotà, capitale della Colombia, è intervenuto anche Juan Guaidó, autoproclamatosi presidente del Venezuela.
Pence ha riassunto ancora una volta la linea ufficiale di Washington: «Noi speriamo che ci sia una transizione pacifica verso la democrazia. Ma il presidente Trump è stato chiaro: tutte le opzioni sono sul tavolo». Inoltre il vicepresidente ha chiesto ai partner di congelare i beni della compagnia petrolifera venezuelana, il polmone finanziario che tiene in piedi il governo Maduro. Nello stesso tempo il ministero del Tesoro americano ha adottato sanzioni finanziarie contro quattro governatori vicini al leader di Caracas, ordinando il congelamento dei conti bancari negli Usa.
Pence ha anche annunciato l’invio di 56 milioni di dollari ai Paesi in cui continuano ad arrivare i profughi dal Venezuela.
Ma lo stallo politico non si sblocca. La larga maggioranza del Gruppo di Lima è contrario a un intervento militare. Gli europei mantengono una linea diversa da quella degli Stati Uniti: anche noi non riconosciamo la legittimità della presidenza Maduro, siamo per nuove elezioni politiche, ma non spetta a potenze straniere ratificare l’autoproclamazione di Guaidó.
Il consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, sta provando a convincere i principali Paesi della Ue ad appoggiare Guaidó «al 100%» per usare le parole di Pence. Risulta che nei giorni scorsi Bolton abbia avuto contatti anche con Palazzo Chigi. Ma non ha ottenuto ciò che voleva. Qualche segnale arriva invece dalla Germania: la portavoce del ministero degli Esteri ha fatto sapere che «vanno aumentate le pressioni su Maduro», probabilmente con altre sanzioni concordate a livello europeo.
Sul campo le difficoltà si moltiplicano. Gli Stati Uniti puntano sul collasso interno del regime. Il Segretario di Stato, Mike Pompeo, intervistato domenica mattina dalla Cnn, ha fatto un paragone con la Berlino Est del 1989: «Non possiamo fare previsioni accurate. Guardate quello che accadde con il Muro di Berlino. Poco prima del crollo c’erano le guardie armate come sempre. Anche Maduro ha i giorni contati, crollerà pure lui». Gli sforzi di Washington sono concentrati sulle forze armate di Caracas. Finora, però, sarebbero soltanto 167 i militari che hanno abbandonato i ranghi, cercando rifugio in Colombia.
Infine c’è Guaidó. Sabato scorso il presidente dell’assemblea parlamentare si è avventurato in un lungo viaggio in auto per sfuggire ai controlli e presentarsi a Cùcuta, la cittadina colombiana dove sono fermi gli aiuti umanitari destinati ai venezuelani. Ieri era a Bogotà per incontrare Pence. Adesso, però, ha il problema di rientrare clandestinamente a Caracas, visto che il regime gli ha imposto il divieto di espatrio.