IL DESTINO DEI PARTITI INSTABILI
Le primarie del Pd sono una buona occasione per riflettere sullo stato dell’opposizione. Apparentemente, Partito democratico e Forza Italia, i due più importanti raggruppamenti che contestano il governo, sono condannati: sembrano destinati a non durare ancora a lungo nel loro attuale assetto. Nicola Zingaretti, nell’intervista di ieri sul Corriere, ha sostenuto che i 5 Stelle sono sul punto di deflagrare. Probabilmente, ha ragione. Se e quando incorreranno in un drastico declino elettorale, difficilmente i 5 Stelle riusciranno a sopravvivere. Forse, tra qualche anno, li giudicheremo come appartenenti alla categoria dei partiti-meteora che irrompono sulla scena elettorale conquistando grandi consensi e che poi, in breve tempo, scompaiono (anche se, per lo più, lasciandosi dietro molti detriti). La deflagrazione, però, non è una possibilità solo per i 5 Stelle. Anche partiti più strutturati, come il Partito democratico e Forza Italia, correranno quel rischio.
Diciamo che, probabilmente, non accadrà nulla fin quando il governo giallo-verde durerà. Quando poi l’esecutivo cadrà, ci siano o non ci siano nuove elezioni, le spinte centrifughe all’interno del Pd e di Forza Italia diventeranno verosimilmente molto forti.
Forse nemmeno allora Pd e Forza Italia sperimenteranno subito cambiamenti di rilievo.
Soprattutto se, come purtroppo è plausibile, lo stato dell’economia risulterà così grave da obbligare il Presidente della Repubblica a chiedere il consenso delle forze parlamentari più responsabili a sostegno di un governo di emergenza. Finita l’emergenza, però, il problema della sopravvivenza del Pd e di Forza Italia nelle loro attuali configurazioni si porrà con forza, difficilmente potrà essere eluso. Perché? Perché a quel punto essi saranno costretti a scegliere con chi allearsi. Coloro che, entro il Pd ed entro Forza Italia, non saranno d’accordo con la scelta dell’alleato opteranno probabilmente per la scissione.
Chi non si rende conto di questo non ha evidentemente riflettuto su che cosa comporti per i partiti esistenti, nonché per il nostro futuro, il fatto (una iattura, per chi scrive) che, dopo una parentesi maggioritaria durata pochi anni, l’italia abbia di nuovo «imbracciato» il sistema proporzionale, che la legge elettorale oggi in vigore sia di nuovo quella del tempo della Prima Repubblica. In una condizione, peraltro, completamente diversa da allora: non esistono più i partiti di massa con forte radicamento sociale che, nonostante il proporzionale, davano stabilità alla democrazia.
Si dà il caso che Forza Italia e il Partito democratico siano formazioni nate con il maggioritario, create — rispettivamente da Berlusconi e dagli ex del Pci e della sinistra democristiana — per competere al meglio nelle condizioni imposte da quel sistema elettorale.
Non esistono, per lo più, partiti per tutte le stagioni. La Democrazia Cristiana, il partito di maggioranza nell’epoca del proporzionale, non sopravvisse al passaggio al maggioritario dei primi anni Novanta. Sarebbe strano se, nel loro attuale assetto, i «partiti del maggioritario», Pd e Forza Italia, durassero inalterati ancora a lungo in regime di proporzionale.
Maggioritario e proporzionale mettono capo a modalità opposte di competizione politica. Con il maggioritario, al momento della campagna elettorale, bisogna dare vita ad aggregazioni le più ampie possibili (uniti si vince). Con il proporzionale conviene invece dividersi (uniti si perde). Con il maggioritario bisogna fare le alleanze prima del voto, dare vita a coalizioni elettorali che prefigurino, in caso di vittoria, le future maggioranze parlamentari. Con il proporzionale le coalizioni elettorali o non si fanno o, se si fanno, non hanno alcun valore, sono solo fumo negli occhi degli elettori. Come hanno inequivocabilmente dimostrato le elezioni del 4 marzo di un anno fa: facendo finta che esistesse ancora il maggioritario, alle elezioni si presentò una pseudo-alleanza denominata «centrodestra». Ma poiché in regime di proporzionale tali alleanze non hanno alcun valore, dopo il voto, Salvini, come se niente fosse, fece il governo con i 5 Stelle.
Berlusconi, per inciso, continua a invocare l’impossibile quando auspica la (ri)formazione del centrodestra. Il piano locale e regionale è una cosa, quello nazionale un’altra. Se Berlusconi vuole davvero ricostituire il centrodestra deve sperare che, in virtù di un miracolo, si ritorni al maggioritario. Peraltro, Berlusconi fu uno dei responsabili del recupero del proporzionale. Evidentemente ritenne possibile l’impossibile, avere, insieme, la botte piena e la moglie ubriaca: il proporzionale e il centrodestra.
Il maggioritario scoraggia le scissioni, il proporzionale le incoraggia. D’alema e Bersani non si sarebbero mai arrischiati a fare una scissione contro Renzi vigente il maggioritario. Fecero male i loro calcoli ma questo è un altro discorso.
È possibile che, come è nello spirito e nella logica della competizione in epoca di proporzionale, si formi prima o poi, per scissioni dal Pd e da Forza Italia, un rassemblement centrista in grado di stabilizzare la nostra democrazia. È anche vero però che le disgregazioni non garantiscono niente: non è certo che alla scomposizione delle forze esistenti debba seguire una ricomposizione (il suddetto rassemblement). Ci sono tante incognite: ad esempio, emergerebbe un leader di tale statura e con tali qualità da poter tenere insieme l’eventuale nuovo centro?
Dati i rischi e le incognite non sarebbe male se, sia pure remando contro l’attuale, forte corrente proporzionalistica, le opposizioni riuscissero a mantenersi relativamente integre. Ciò richiederebbe la capacità di elaborare piattaforme politiche così credibili e appetibili da consentire a Forza Italia o al Pd, o a tutti e due, di attirare moltissimi consensi: in quel caso, non dovrebbero piegarsi a umilianti trattative con una Lega ancora in crescita o con un Movimento 5 Stelle ancora troppo forte. Ciò non è probabile ma è un privilegio della politica il fatto che, talvolta, l’improbabile si realizzi.