Un campione contro la Sla
Ex del Mantova, Sguaitzer aiutò la ricerca
Era amico di Boninsegna, e anche lui faceva gol. Nel Mantova. Marco Sguaitzer, ex calciatore ammalato di Sla che ha aiutato la ricerca, è morto.
«Conoscevo Marco Sguaitzer dal tempo in cui giocava nelle giovanili del Mantova, bel centravanti: senso del gol, tecnica. Quando, molto tempo dopo, mi chiese la prefazione per la sua autobiografia fui entusiasta: quel libro che raccontava la sua lotta sovrumana contro la Sla era un inno alla vita...». La voce di Roberto Boninsegna, 75 anni, si ferma, commossa. Poi il leggendario attaccante azzurro riprende: «Ho saputo della morte di Marco in mattinata. L’ultima volta lo avevo visto a Natale, a casa sua: sapevo che le sue condizioni stavano peggiorando ma lui era come sempre un gladiatore. E continuava a combattere quella malattia terribile, la “stronza”, come l’aveva definita».
Parliamo della «Sclerosi laterale amiotrofica», la patologia neurodegenerativa che ieri ha stroncato la vita di Marco Sguaitzer, 60 anni, mantovano come Boninsegna, ex bomber di discreto talento poi diventato — grazie a quel libro intitolato «Senza Limite Alcuno» — testimonial per la lotta alla Sla.
Nel mondo soffrono di questa sclerosi circa 400.000 persone di cui 6.000 in Italia. Una «prigione», più che una malattia: aggredisce cellule nervose cerebrali e midollo spinale bloccando progressivamente i muscoli ma lasciando la mente vigile nel corpo immobile. Marco si accorse dei primi sintomi nel 2008. Era in Spagna, in Costa Brava, per un torneo di golf, altra sua grande passione dopo quella per il calcio lasciato da giovinetto — ricorda Boninsegna — «per un infortunio». «Una mattina mi svegliai e mi accorsi della difficoltà di spostarmi» scrisse Sguaitzer nell’autobiografia tradotta in inglese, venduta in Europa, America e Asia e finita in tante mani, tra cui quelle di papa Francesco, Totti, Ligabue, Baglioni, Nadal, Morandi e Marchisio.
«Non fu semplice» capire di cosa si trattasse. Dopo un susseguirsi di visite specialistiche e analisi arrivò il verdetto inappellabile che «sconvolse tutto». Prima di ammalarsi, Marco — figlio di un ex calciatore del Mantova poi divenuto imprenditore — si «era goduto la vita». Le foto postate nel sito della sua onlus aperta per raccogliere fondi destinati alla ricerca lo ritraggono in tanti posti del mondo con fidanzate sempre differenti.
Poi, nel 2006, l’incontro con Aiste Andriulionyte, una ragazza lituana che lui definì «il jolly più importante regalatomi dal cielo». Si innamorarono e lei gli è rimasta sempre accanto, sposandolo nel 2016 dopo che Marco le «consegnò» una dichiarazione d’amore letta da Manuela, amica d’infanzia. Perché ogni «parola» del centravanti — immobile tra tubi e respiratore impiantato con una tracheotomia — arrivava tramite un sofisticato «comunicatore oculare»: una telecamera puntata sugli occhi ne registrava gli impercettibili spostamenti. La rotazione dello sguardo muoveva un pallino rosso sulle lettere di una tastiera, componendo le frasi. La sua autobiografia era stata «dettata» in questo modo, tramite un computer che rendeva metallicamente la voce del bomber.
Al settimanale Buone notizie del Corriere che lo intervistò sei mesi fa, Marco raccontò che «i miei temi scolastici mai superavano le tre colonne. Mai sognato di scrivere più di qualche letterina alla morosa di turno, spesso riparatrice. Ma la malattia e il desiderio di comunicarne gli effetti ha scatenato lo scrittore».
Aiste Sguaitzer, che ieri ha ricevuto tantissimi messaggi d’affetto, ricorda così il marito: «Era un uomo speciale, non facile: ma unico».
L’amico Boninsegna Raccontò la sua storia in un libro. Boninsegna: lo conoscevo da quando era ragazzino