La battaglia delle due ministre sospese tra il Nord e il Sud Così si giocano il tutto per tutto
Sfida Stefani-lezzi nella partita dell’autonomia regionale
Poi vedremo come finirà questa storia dell’autonomia chiesta da Lombardia, Veneto ed Emilia-romagna (le posizioni nel dibattito sono, a stringere, due: i governatori del Nord, sostenuti dalla Lega, sostengono che a guadagnarci sarebbe tutto il Paese; a molti altri governatori, su cui fanno sponda i 5 Stelle, la faccenda sembra invece solo una secessione per ricchi, pensata dai ricchi).
Questione delicata, rischiosa, forte.
Intanto però colpisce molto che Matteo Salvini e Luigi Di Maio («Giggino — spiegano i suoi, che si ostinano a chiamarlo così — dopo averne ovviamente parlato con Davide Casaleggio») l’abbiano affidata, almeno sul piano mediatico, a due ministre. Esatto: a due donne. La Lega schiera Erika Stefani, titolare del dicastero degli Affari regionali e delle Autonomie. Il Movimento, Barbara Lezzi, che guida il ministero per il Sud.
Bene, due donne: e questa è già una buona notizia che piomba dentro certe atmosfere parlamentari sempre ancora troppo maschiliste se non addirittura misogine; del resto, se provate a farvi un giro su Google, troverete ampia letteratura sul fatto che la Stefani, per dire, sarebbe stata eletta «Miss Senato».
Il punto è un altro: come affrontano una partita così delicata le due ministre?
Diciamo subito che per entrambe si tratta di una grandiosa occasione politica.
La Lezzi è un po’ alla sua partita finale.
La sua biografia è ricca, ed eloquente: 46 anni, nel 1991 si diploma all’istituto tecnico per periti aziendali di Lecce, per vent’anni lavora in una ditta specializzata nelle forniture per orologi — «Ma chi ha reso l’italia il fanalino di coda in Europa? I competenti? I preparati?» — nel 2013, quando viene eletta al Senato con i grillini, si mette in aspettativa e vola a Roma, finendo poco dopo sui giornali per aver assunto come assistente parlamentare la figlia del suo compagno; nel 2016 diventa mamma del piccolo Cristiano Attila; da vicepresidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama pubblica un video su Facebook in cui spiega che il Pil, nel secondo trimestre 2017, è aumentato «perché ha fatto molto caldo» e tanti italiani sono corsi ad accendere i condizionatori (trovate tutto su Youtube: un minuto e diciotto secondi francamente strepitosi).
Va bene: e poi? Poi la Lezzi, alle scorse politiche, torna in Puglia e, dopo aver strapazzato un vecchio squalo come Massimo D’alema e una tosta come Teresa Bellanova, conquista oltre 100 mila preferenze. Come fa? Facile. Butta lì due gigantesche promesse: chiuderemo l’ilva e impediremo la costruzione del Tap (quel fuoriclasse di Alessandro Di Battista, sceso a darle una mano, mettendo su uno sguardo piacionesco dei suoi, addirittura urla: «Lo blocchiamo in 15 giorni!»). Sapete com’è finita. L’ilva è aperta e il Tap si farà. È evidente che su questa storia delle autonomie — su cui i grillini frenano assai, avendo nel Meridione il loro bacino di voti più ampio — la Lezzi si gioca faccia, e destino. Si gioca tuttavia molto anche la ministra Stefani («Potete chiamarmi ministra o ministro, cambia poco: sono i risultati che contano»). Vicentina, 48 anni, avvocato, lunga gavetta politica nel leghismo duro e puro — okay, va bene: «gavetta» è termine desueto, ma resta promettente e pieno di fascino — in Parlamento e al governo è rimasta fuori dai giochi esclusivamente perché nel suo partito i giochi li decide e fa solo Salvini. Quindi, appunto: questa è la sua occasione. «Il progetto di rendere autonome le Regioni — dice perciò la Stefani — è nel contratto con il Cinque Stelle: e i contratti, per quanto ne so, si rispettano».
La Lezzi, gelida: «In realtà non c’è ancora alcuna intesa nel governo». Poi attraversa il Transatlantico di Palazzo Madama, il parquet che scricchiola, il passo risoluto, l’aria risoluta, vi faccio vedere chi sono, sono quella che portò in aula un apriscatole, perché — diceva Grillo — avremmo dovuto aprire il Parlamento come una scatola di tonno.
È andata, finora, un po’ diversamente.