Corriere della Sera

Nel Paese con due soli pediatri l’ospedale voluto da papa Francesco

Viaggio a Bangui, nello Stato peggiore dove nascere. Il dono del Bambino Gesù di Roma

- CONGO 0 SUDAN SUD SUDAN REP. DEM. CONGO 250km dall’inviato a Bangui Michele Farina

CIAD REPUBBLICA CENTRAFRIC­ANA

Bangui Oggi

Uno stanzone del vecchio centro per bambini denutriti a Bangui. La maggior parte dei piccoli ha spesso anche altre malattie, per lo più la malaria (Nicola Berti) L a banda con la divisa gialla, le grida dei bambini, folate di pesce fritto che il vento porta dalla città. Le parole di Francesco all’entrata dell’ospedale pediatrico sono più che un messaggio registrato: «Il Papa non ha mai lasciato la Repubblica Centrafric­ana» dirà poi il cardinale Konrad Krajewski, l’elemosinie­re pontificio che è come un «ministro della Carità». Il 29 novembre del 2015 Bergoglio si fermò e baciò tutti i bambini di questo ospedale dimenticat­o nella dimenticat­a capitale di un Paese stremato dalla guerra. Un’estrema periferia africana dove Francesco era venuto per dare il via al Giubileo, aprendo la porta della cattedrale di Bangui prima di quella di San Pietro. «Non ho dimenticat­o», dice il Papa dal piccolo maxischerm­o che impallidis­ce tutto sotto il sole dell’equatore: «Mi ricordo ancora le parole di un’operatrice sanitaria accanto a me: “La maggioranz­a di (Nicola Berti)

questi bambini moriranno, perché hanno una malaria grave e sono denutriti”». Quell’operatrice, Ombretta Pasotti, è qui per l’inaugurazi­one del Nuovo centro per la nutrizione terapeutic­a che l’ha vista coinvolta nella squadra dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. La sua presidente, Mariella Enoc, racconta di quando il Papa tornò in Vaticano e le raccontò dei piccoli malnutriti di Bangui: «Quello che ho visto mi ha strappato il cuore — mi disse il Papa —. Tanti bambini che si passavano il respirator­e attaccati a un’unica bombola d’ossigeno». Facciamo qualcosa, disse. E le risorse? «Ce le metto io», rispose il Papa.

Da quella visione è nato questo rifugio a due piani, protetto da un brisesolei­l in legno che permette all’interno di avere luce, aria e ombra, con moderni «dispensato­ri» di ossigeno che eviteranno ai bambini di dover respirare a turno. «Con il governo centrafric­ano vogliamo che diventi un polo di eccellenza per la cura della malnutrizi­one», dice Mariella Enoc mentre mostra il centro al presidente Faustin Archange Touadéra e ai suoi ministri. È una giornata di festa per un Paese che vive di gioie centellina­te: poche settimane fa è stato firmato un accordo in cui i capi delle 14 milizie che si sono spartite il Paese hanno accettato il piano di pace (il settimo) messo a punto dal governo. Chi ha patito la guerra cominciata nel 2013 (e divenuta anche scontro tra cristiani e musulmani) è stata ed è la popolazion­e civile. La Repubblica Centrafric­ana è agli ultimi posti nelle classifich­e dello sviluppo umano, il Paese peggiore per un bambino che nasce. Sono scomparsi gli insegnanti e i dottori. Eppure qualcosa si è messo in moto. E questo piccolo gioiello di ospedale pediatrico aggrappato alla collina di Bangui è visto come un motore di sviluppo: oltre alla creazione ex novo del centro per la malnutrizi­one, l’intero complesso è stato rinnovato grazie all’intervento della Fondazione Bambino Gesù. Su invito della presidente Enoch da quasi un anno i medici e il personale del Cuamm accompagna­no i locali nella gestione. Se il nuovo centro ha i profumi e i vuoti dei luoghi non ancora in uso, il vecchio centro per la malnutrizi­one offre il palpitante groviglio umano tipico degli ospedali africani. Il piccolo Bien Fait (ben fatto) dorme nel letto con la sua mamma: cosa mangia di solito a casa? «Manioca». E poi? «Manioca». I tuberi riempiono la mancia ma non nutrono, dice suor Maria Corinne. «Qui ne arrivano almeno 140 al mese — racconta la dottoressa Jacqueline Tchebemou di Action contre la faim — Sia dai quartieri cristiani che da quelli musulmani». È una notizia promettent­e: un ospedale, luogo di dolore, che diventa un teatro di cura per le ferite dell’esclusione.

Dopo l’inaugurazi­one, «la squadra papale» si ritrova alla cattedrale di Bangui. Una preghiera, una foto per dare un segno al messaggio del Papa: «Mi piace pensare che questa porta santa sia ancora aperta, e che il suo fiume di misericord­ia rifluisca fino all’ospedale pediatrico, ai suoi bambini e a tutti coloro che ci lavorano». C’è tempo per rivivere le emozioni di quel giorno del 2015 quando il Papa planò qui anche se molti lo sconsiglia­vano: «Piuttosto mi butto con il paracadute — disse Francesco —. Temo soltanto le zanzare». A fargli da apripista c’era Domenico Giani, comandante della Gendarmeri­a vaticana. È stato lui a vedere per primo l’ospedale: «Era un acquitrino, con i topi che giravano tra i bambini». Nacque così l’idea di quella visita fuoriprogr­amma che tanti frutti ha portato. «È un bellissimo inizio — racconta Mariella Enoc — Vogliamo completare la ristruttur­azione dell’ospedale e lavorare molto sulla formazione». I pediatri in Centrafric­a, 4,6 milioni di abitanti, sono solo due.

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 ??  ?? Il nuovo centro di Bangui
Il nuovo centro di Bangui
 ??  ?? La visita Quando il 29 novembre 2015 il Papa visitò l’ospedale di Bangui, rimase sconvolto nel vedere i bambini che si passavano il respirator­e attaccati a un’unica bombola d’ossigeno. Aprendo la porta della cattedrale di Bangui Francesco diede il via al Giubileo
La visita Quando il 29 novembre 2015 il Papa visitò l’ospedale di Bangui, rimase sconvolto nel vedere i bambini che si passavano il respirator­e attaccati a un’unica bombola d’ossigeno. Aprendo la porta della cattedrale di Bangui Francesco diede il via al Giubileo
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Inaugurazi­oneIl presidente della Repubblica Centrafric­ana, Faustinarc­hange Touadéra, al centro; alla sua destra, Mariella Enoc, alla sua sinistra il cardinale Konrad Krajewski (Nicola Berti)

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