Tasso e Ariosto, dubbi e fortune sotto la lente della censura
Il controllo della Chiesa sulla letteratura tra XV e XVII secolo nel volume di Gigliola Fragnito (il Mulino)
aveva inquietato nel profondo le minoranze consapevoli.
Tra gli strangolati del 22 dicembre 1942, nel gruppo in cui rifulgeva Libertas, ci furono un diplomatico, un consigliere di governo di alto grado, uno scultore, un giornalista, un ufficiale della Luftwaffe, marito della ragazza.
Donne e uomini antinazisti si riunivano il giovedì sera e anche in altri giorni in un gruppo ristretto. Che cosa facevano poi? Scrivevano testi antihitleriani, messaggi, rischiosi appelli, li distribuivano pericolosamente. Non avevano armi. Possedevano anche delle radio, spesso poco funzionanti. Cercavano continuamente di allargare la loro cerchia, con qualche errore di valutazione. Presero contatto con le ambasciate sovietiche. Di qui l’accusa di alto tradimento. Borghesi dall’anima democratica non avevano certamente il miraggio di instaurare una dittatura staliniana: furono accusati proprio di questo: di essere spie al servizio di Stalin. Il loro progetto era semplicemente di cercare interlocutori in grado di aiutare chi ripudiava il nazismo e il suo sistema criminale.
La presenza nel «complotto» di persone di estrazione sociale, politica, religiosa differente turbava Hitler: non poteva tollerare che il dissenso al regime si diffondesse nell’alta borghesia, nell’aristocrazia, all’interno delle strutture di governo. E nel mondo culturale: l’attrice Marta Wolter che aveva recitato testi di Brecht, lo scultore Kurt Schumacher, la famosa danzatrice Oda Schottmüller, lo scrittore Günther Weisenborn.
Libertas, imprigionata, peccò di ingenuità. Si fidò di una donna, una spia che le era stata messa accanto nella cella, fece fatalmente un nome, quello di Hans Coppi e mandò un messaggio alla madre con altri nomi. La donna, Gertrud Breiter, fu ricompensata con 5.000 marchi, una decorazione e le felicitazioni di Himmler. Nel dopoguerra visse tranquillamente, diede anche interviste ai rotocalchi. Fino alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, i superstiti dell’«orchestra rossa» nella Germania dell’ovest furono considerati dei traditori, segnati a dito, tormentati, angariati.
Il libro di Nicola Montenz riempie un vuoto. Non è un saggio, per la sua struttura e per il linguaggio, è piuttosto una ricerca narrata, documentata allo spasimo, ricca di un’infinità di fatti e di personaggi.
Turba il cuore il contrasto tra le belle estati di tanti giovani protagonisti del libro, le loro gite in barca a vela sui fiumi e sui laghi del Brandeburgo, i picnic sull’erba e quell’urlo del direttore della prigione di Berlin-plötzensee con al fianco i due assistenti del boia in frac e guanti bianchi: «Carnefice, compia il suo dovere». 26)
● L’autrice (nella foto) ha insegnato Storia moderna all’università di Parma. Tra i suoi saggi editi dal Mulino: La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (nuova edizione 2015), Storia di Clelia Farnese (nuova edizione 2016)
«Che salto ha fatto ora, per la propria concitazione e il proprio fervore, un uomo fra i più perspicaci, ingegnosi e formati allo spirito di quell’antica e pura poesia che vi sia stato da lungo tempo tra i poeti italiani? Non lo deve egli a quella sua letale vivacità? A quella chiarezza che l’ha accecato? A quella precisa e tesa apprensione della ragione che lo ha reso senza ragione? Alla curiosa e laboriosa indagine delle scienze che l’ha condotto alla stupidità? A quella rara attitudine agli esercizi dell’anima che l’ha ridotto senza esercizio e senz’anima?»: il grande pensatore francese Michel de Montaigne, in questa pagina dei suoi Saggi, indipendentemente dalla veridicità dell’incontro ci offre uno straordinario «ritratto» del grande poeta Torquato Tasso in preda alla follia. E tra le cause che per eccesso di ragione lo avevano reso «senza ragione» (a tal punto da essere internato nell’ospedale di Sant’anna a Ferrara nel 1579) figurano, probabilmente, anche «dubbi» e «timori» legati alla censura ecclesiastica.
Tra il 1575 e il 1576, l’autore della Gerusalemme liberata intraprende un’intensa attività epistolare con diversi interlocutori romani, tra cui l’influente cardinale Scipione Gonzaga, suo amico e protettore, per conoscere il loro parere sul rispetto delle norme aristoteliche e soprattutto sul «rigor de’ tempi presenti» in cui si fa sempre più esplicito «il romore della proibizione di infiniti poeti».
Proprio in questi anni, infatti, in cui Tasso scrive e riscrive febbrilmente il suo famoso poema ambientato all’epoca della prima Crociata, a
In allarme
La dittatura non poteva consentire che il dissenso si diffondesse nell’alta borghesia, nell’aristocrazia, all’interno delle strutture di governo
Roma la politica censoria subisce una svolta radicale, facendosi ancora più rigida e severa. L’attenzione non si concentra soltanto sui testi considerati in odore di eresia, ma si estende anche a una più vasta produzione letteraria ispirata ai piaceri della carne, ai classici pagani e a un’attenzione considerata eccessiva e sospetta per il fantastico e la magia.
Così, se la Gerusalemme liberata conoscerà profonde e tormentate revisioni «autocensorie» da parte di Tasso, ben altra sorte sarà riservata invece a un altro capolavoro dell’epoca come l’orlando furioso di Ludovico Ariosto. Pubblicato nel 1516 (e rivisto successivamente nel 1521 e, con aggiunte e importanti correzioni linguistiche secondo il modello del fiorentino trecentesco suggerito da Pietro Bembo, nel 1532), il poema conoscerà infatti un grandissimo successo di pubblico (si contano non meno di 155 edizioni!), segnando profondamente l’immaginario collettivo. E benché in quegli anni l’autore venisse considerato da alcuni censori zelanti come «vanissimus et spurcissimus homo», la sua celebre opera riuscì comunque a sfuggire anche alla furia moralizzatrice del nuovo Indice dei libri proibiti apparso nel 1596 sotto il pontificato di Papa Clemente VIII.
Alle diverse vicende censorie che accompagnarono i poemi dei due grandi poeti, ai dibattiti che nel corso del Rinascimento «produssero interventi esiziali sulla letteratura di svago e di largo consumo (romanzi cavallereschi, novellistica, satira, facezie e motti, capitoli berneschi, lettere amorose)», alle scelte che portarono a equiparare i peccati della carne ai reati contro la fede, ai delicati meccanismi del rilascio preventivo dell’imprimatur e all’attività espurgatoria svolta nei riguardi delle opere già stampate, è dedicato ora un ricco e documentato saggio di Gigliola Fragnito, Rinascimento perduto. La letteratura italiana sotto gli occhi dei censori (secoli XV-XVII), pubblicato dal Mulino.
Docente di Storia moderna per molti anni presso l’università di Parma, Gigliola Fragnito ha consacrato diversi decenni di ricerca con importanti articoli e libri (da La Bibbia al rogo del 1997, riedito nel 2015, a Proibito capire del 2005, pubblicati entrambi dal Mulino) a temi collegati agli sviluppi della censura sui testi a stampa religiosi e letterari. In questo volume, il lettore ritroverà una brillante sintesi dei meccanismi attraverso cui la Chiesa cattolica esercitava il suo potere sui fedeli, considerati come «minorenni perpetui» da tutelare in modo paternalistico.
Moralizzazione
La «Gerusalemme liberata» fu riscritta più volte. L’«orlando furioso» sfuggì all’indice