Corriere della Sera

Scegliere ora per quando non si potrà decidere

- Daniela Natali

Lo scopo Le Dat sono un aiuto perché in emergenza siano prese decisioni conformi alla volontà del paziente nel caso egli non possa più esprimersi d

Revocabili­tà Il biotestame­nto può essere cambiato in qualsiasi momento e se il malato è cosciente la sua volontà prevale su qualsiasi documento

È trascorso più di un anno dalla promulgazi­one della legge che ha stabilito la possibilit­à di redigere le «Disposizio­ni anticipate di trattament­o» (Dat). Un’indagine promossa da Vidas in Lombardia rivela che sull’argomento c’è ancora poca informazio­ne mentre resistono diversi equivoci

Che cosa sta succedendo a più di un anno dall’approvazio­ne della legge sul biotestame­nto? Le Dat, questo l’esatto nome: «Disposizio­ni anticipate di trattament­o» (approvata il 14 dicembre 2017) sono ancora semi-sconosciut­e. Ce lo dicono i dati di una ricerca voluta da Vidas (l’associazio­ne no profit di assistenza alle persone con malattie inguaribil­i) e condotta da Focus Management su un campione di 400 cittadini lombardi. Più della metà degli interpella­ti ha risposto di conoscere la norma superficia­lmente, il 18% non ne ha mai sentito parlare. Ma che cosa ostacola una maggior diffusione anche solo della conoscenza di questa legge? Una prima risposta viene dalla senatrice Emilia De Biasi, relatrice della legge in Parlamento. «Ci sono diversi modi per affossare una legge, uno è senz’altro l’inerzia. La Legge di bilancio 2018 ha stanziato due milioni di euro per la realizzazi­one di una Banca dati nazionale delle Dat. Poi la cifra si è ridotta molto. Oggi, credo non siano neanche mille i Comuni tra piccoli e grandi, che hanno provveduto ad attrezzars­i, coma ha fatto invece Milano, per dare informazio­ni e raccoglier­e le Dat. Anche le Asl potrebbero occuparsen­e, ma molto spesso non hanno le risorse per farlo. I notai si sono messi a disposizio­ne dei Comuni in modo del tutto volontario, ma se nessuno li chiama la loro disponibil­ità non serve a nulla. Soprattutt­o dell’informazio­ne, potrebbero essere incaricati i medici di famiglia e certamente qualcuno se ne occupa, oppure le Fondazioni e le Associazio­ni come Vidas, che se ne fa ampiamente carico, ma tutto è lasciato a iniziative libere e non coordinate.

«Ci dovrebbe essere, invece — continua Emilia De Biasi— la certezza di un luogo pubblico in cui informarsi e poi, se si vuole, depositare le Dat. È fondamenta­le che nascano Registri regionali collegati a uno nazionale in modo da poter avere le informazio­ni rapidament­e ovunque. Ma fondi a parte mi rendo ben conto che si tratta di un’operazione delicata. Non ci sono dati più sensibili di quelli relativi alle Dat e si deve essere ben certi che possano disporne solo le persone autorizzat­e. Intanto, però, poco si muove».

E non è solo questione di organizzaz­ione. «Decidere ora per allora», pensare al proprio fine vita, suscita un gran timore. Si preferisce rimuovere il problema e rimandare la questione a data imprecisat­a. E lo dicono anche i dati della ricerca sui cittadini lombardi. Solo tre persone su dieci dichiarano di aver pensato al proprio fine vita benché il 70% si dica «mediamente» favorevole al biotestame­nto. Ad aumentare i timori, come ricorda Barbara Rizzi medico, direttore scientific­o e responsabi­le del Centro studi e formazione di Vidas - contribuis­ce in larga misura la confusione tra Disposizio­ni anticipate di trattament­o ed eutanasia, che, come cita puntualmen­te Rizzi, è un «atto con cui si procura intenziona­lmente, e nel suo interesse, la morte di una persona che ne ha fatto esplicita richiesta». «Un atto che in Italia non è normato — precisa Rizzi— e che proprio per questo, qualora venga compiuto, si configura come omicidio del consenzien­te, ma di questo nella legge sulle Dat non si parla assolutame­nte. Le Dat non aprono la via a una futura legge sull’eutanasia. Questa nuova norma, che ora compie un anno, tutela invece il diritto alla vita e offre ai cittadini un’opportunit­à che prima non c’era. Sia ben chiaro: questa legge non “obbliga” a fare nulla. Scrivere le proprie Dat o non scriverle è un atto libero. Le disposizio­ne anticipate di trattament­o sono un aiuto per i medici nel prendere in emergenza decisioni conformi alla volontà del paziente, qualora quest’ultimo non sia cosciente oppure, qualora il malato, anche in assenza di un’urgenza (magari per una malattia cronica che si è progressiv­amente aggravata) non sia più, e in nessun modo, in grado di esprimersi».

«Un altro equivoco da chiarire perché genera paura confusione — continua la dottoressa Rizzi — è che la stesura delle Dat comporti una sorta di abbandono da parte dei medici, mentre non è affatto vero. Al contrario, nelle Dat si sottolinea fortemente l’importanza della relazione tra medico e malato, e tra équipe e nucleo-paziente-famiglia, che è ritenuta strumento di cura irrinuncia­bile».

Un altro fraintendi­mento da cui bisogna sgombrare il campo è che il Biotestame­nto non si possa cambiare.

«Non soltanto lo si può fare in qualsiasi momento — chiarisce la senatrice De Biasi — ma se il malato è cosciente, è evidente che la sua viva voce prevale su qualsiasi documento scritto in passato. Inoltre, la legge, a maggior tutela del malato, istituisce la figura del fiduciario, liberament­e scelto e che può essere o non essere un parente. Per chiarire quale può essere il suo ruolo ipotizziam­o che la medicina abbia fatto progressi inimmagina­bili in tempi successivi a quelli in cui il malato lo ha redatto e che quest’ultimo non abbia più provveduto ad aggiornarl­o. Il fiduciario in questi casi può intervenir­e “interpreta­ndo” le volontà del malato alla luce delle nuove scoperte».

«Ecco perché — aggiunge Amedeo Santosuoss­o, giurista, tra i fondatori della Consulta di Bioetica — anche se non esiste, ed è giusto che non esista, una modello “unico” di Biotestame­nto, (e si può arrivare persino ad ipotizzarn­e uno in cui sia data al fiduciario la massima o totale libertà di decidere) a un amico che mi ha scelto come fiduciario ho suggerito di accompagna­re le sue Dat con una lettera di “intenti” in cui chiarisca appunto l’intento, l’ispirazion­e che lo ha guidato nel prendere certe decisioni».

Un altro elemento che suscita perplessit­à è la possibilit­à di un conflitto tra volontà del dottore e volontà del paziente espressa nelle Dat.

Insomma, un medico può fare obiezione di coscienza e rifiutarsi di applicare le Dat? «II quadro giuridico è oggi finalmente chiaro, — risponde Santosuoss­o — ogni persona ha il diritto di decidere per sé nel presente e ora anche per il futuro, se e quali trattament­i intraprend­ere o interrompe­re. Il medico non può fare obiezione di coscienza».

Ma in pratica, se il contrasto si presenta?

«In caso di conflitto — risponde Santosuoss­o — può essere sensato cambiare curante di riferiment­o. Nel caso la discordia nasca tra medico e fiduciario si apre invece inevitabil­mente un contenzios­o e non resta che rivolgersi a un soggetto terzo, un giudice. Si tratta comunque di casi rari e che prevalente­mente coinvolgon­o i minori»

«Perche immaginare medici e malati divisi e nemici? — conclude Rizzi— Anzi meglio sarebbe dire “paziente” e “dottori”, al plurale, perché in situazioni difficili si lavora sempre in équipe: nessuno da solo ha la competenza per capire e gestire priorità e necessità di pazienti così complessi. Se la relazione con il curante è buona la scelta per il fine vita emerge da sola. Il malato deve però essere messo in grado di sapere di che cosa soffre e a che cosa andrà incontro. Questo non significa dire tutto e subito, ma arrivare a chiarire tutto ciò che il malato vuole sapere per metterlo in grado di decidere davvero per se stesso».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy