Corriere della Sera

La posizione della Chiesa Cattolica

- Gian Guido Vecchi

Secondo un’indagine condotta in Lombardia, molti ritengono che la Chiesa cattolica sia contraria in assoluto alle Dat.

È vero? Lo abbiamo chiesto all’arcivescov­o Vincenzo Paglia, scelto da papa Francesco come presidente della pontificia Accademia per la Vita, la massima autorità vaticana in materia.

Cosa pensa la Chiesa delle «Dichiarazi­oni anticipate di trattament­o»?

«Vede, nella relazione tra medico e paziente si va realizzand­o un nuovo equilibrio, che supera il paternalis­mo medico. Le decisioni terapeutic­he diventano frutto di una maggiore condivisio­ne rispetto al passato. Si richiede quindi una comunicazi­one profonda e aperta, pur nel rispetto di ruoli e competenze. Le Dat tentano di prolungare questa comunicazi­one quando la persona malata non è più in grado di partecipar­vi direttamen­te o non più in grado di comprender­e».

A quali condizioni sono accettabil­i?

«Le Dat non equivalgon­o in tutto al consenso informato: c’è uno scarto di tempo e di condizioni tra la loro formulazio­ne e il momento in cui entrano in vigore. E l’esperienza dice che, quando si è direttamen­te coinvolti in una patologia, la valutazion­e che se ne dà è diversa rispetto a quando la si immaginava. Da qui una prima condizione: la “revocabili­tà” delle Dat, che hanno un’affidabili­tà tanto minore quanto più sono distanti dalla situazione cui si riferiscon­o. Ma non basta».

Che altro?

«Può aiutare la figura del fiduciario: conoscendo il paziente, egli contribuis­ce a superare lo scarto tra l’astrattezz­a delle disposizio­ni e la situazione concreta. Ma per questo si richiede anche una certa interpreta­zione del medico. La legge 219/2017 mostra un qualche imbarazzo in proposito. Quando afferma che le Dat “possono essere disattese […] in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesement­e incongrue o non corrispond­enti alla situazione clinica attuale”. In realtà, il medico non disattende le Dat. Piuttosto ne cerca l’interpreta­zione più corretta nelle circostanz­e effettive: attuarle sarebbe impossibil­e se incoerenti, ed errato se clinicamen­te inappropri­ate. È importante una redazione attenta delle Dat, non sulla base di informazio­ni generiche ma con la consulenza di un medico di fiducia».

Nutrizione e idratazion­e sono sostegni necessari oppure si danno casi nei quali per la Chiesa è possibile rinunciarv­i?

«Il documento del magistero di riferiment­o è quello della Congregazi­one della Dottrina per la Fede, scritto nel 2007. Vi si afferma che è obbligator­io l’uso di nutrizione e idratazion­e artificial­i “nella misura in cui e fino a quando” raggiungon­o la loro finalità propria. In tre casi non se ne esclude la sospension­e, o la non attivazion­e: quando per isolamento o povertà della regione sia impossibil­e procurarle; quando sopraggiun­gano complicazi­oni cliniche che ne rendano inutile la somministr­azione; quando “possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico”. Comunque non si deve mai abbandonar­e il paziente e bisogna continuare sempre le cure palliative».

Il progresso tecnico rende a volte difficile distinguer­e tra accaniment­o ed eutanasia. Come ci si orienta?

«Le decisioni sono molto delicate, sia per la complessit­à della medicina di oggi sia perché c’è in gioco il valore fondamenta­le della vita. Come ci ha detto papa Francesco, nel 2017, “non è sufficient­e applicare in modo meccanico una regola generale”. Occorre tenere conto di una molteplici­tà di fattori, come abbiamo appena visto parlando della nutrizione e idratazion­e artificial­i».

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