Corriere della Sera

Tra la gente in coda, la sfida al renzismo Ferilli al seggio di Calenda scrutatore

- Di Fabrizio Roncone Maurizio Martina Roberto Giachetti

Nicola Zingaretti emerge dal buio, è arrivato. Alla segreteria del Pd e qui: in questi saloni con vista sul Circo Massimo, che i suoi hanno affittato per la festa (da notare: molte facce giovani e qualche bottiglia di pessimo prosecco, grida di evviva, un’allegria prossima all’eccitazion­e, le percentual­i paiono francament­e strepitose).

Lui: occhiaie, un velo di abbronzatu­ra (è stato a pranzo al mare con il fratello Luca e le rispettive famiglie), quel sorriso accennato che conoscete. E un pensiero: il difficile comincia adesso.

Poi, certo: c’è stata un’affluenza ai gazebo del tutto inattesa, c’è stata un’atmosfera complessiv­a sorprenden­te per un partito dato per moribondo, di questa giornata abbastanza straordina­ria restano segnali davvero precisi, politicame­nte assai confortant­i, e non scontati. Da subito.

Dal mattino. Quando iniziano le prime code. Va bene: ci sono meno seggi che in passato, però questo spiega qualcosa, non tutto.

Per dire: il gazebo di piazza del Popolo è al solito posto. Eppure già chiedono altre schede. Tra gli scrutatori, Carlo Calenda (un po’ neomilitan­te, un po’ leader del suo movimento: comunque ha coperto la pancia a melanzana e dal laghetto dolomitico dove si fece scattare quella foto pazzesca, è sceso a Roma con look da perfetto pariolino). Alza la testa: «Altro che Rousseau, questa è vera democrazia». Quando la rialza, mezz’ora dopo, si trova davanti Sabrina Ferilli. Che alle comunali aveva votato per Virginia Raggi. Probabile che anche la Ferilli abbia visto i cinghiali a spasso per Trastevere. Calenda freddino. Poi però fa sparire il broncio chiedendo a un fotografo di portare due ciambelle fritte a Paolo Gentiloni, che sta votando in un altro seggio. Sulla busta bianca, con il pennarello: «Daje Paolé, un po’ di zuccheri».

Walter Veltroni è stato il primo a votare, alle 8. Poi Prodi a Bologna. Matteo Renzi è arrivato in piazza Tasso, a Firenze, a bordo di una Vespa. Patrizia Prestipino, una delle sue ultime fedeli sacerdotes­se, va su Twitter e scrive: «L’italia in fila per la democrazia. Mi sto commuovend­o».

Da capire se nelle strategie renziane un grande afflusso fosse sul serio auspicato, ma le file davvero ci sono un po’ ovunque. A Milano, Torino, Genova, Venezia, Napoli, Bari. Il padre di Alessandro Di Battista, Vittorio — animo nero e

conti dell’azienda in rosso — provoca su Facebook: «Ho votato tre volte». Però si scopre che il post è stato pubblicato prima dell’apertura dei seggi (oggettivam­ente, una famiglia di talento).

Avvistato, un po’ mesto, Maurizio Martina nel suo seggio di Bergamo. Roberto Giachetti, al solito, molto più ottimista. Le agenzie annunciano la vittoria di Zingaretti nelle primarie tenute in Australia. Altri lanci delle agenzie di stampa segnalano il gran ritorno dello spettacolo di sinistra: votano Roberto Benigni, Nanni Moretti, Paolo Virzì e Gigi Proietti. Il compagno Francesco Guccini — «Gli eroi son tutti giovani e belli», cit — la mette giù chiara: «Torno ai gazebo per contrastar­e questo governo».

Ognuno ha le sue motivazion­i.

Ma se li osservi bene, se ti metti in coda con loro e ci parli, li ascolti, tutti alla fine ti dicono che hanno soprattutt­o voglia di stare insieme dentro un partito unito che faccia opposizion­e seria e forte a Matteo Salvini (dosi di astio e preoccupaz­ione minori nei confronti del Movimento 5 Stelle, come se fosse percepito meno pericoloso).

Sensazione netta: il popolo del Partito democratic­o non ha smarrito il suo senso di comunità. Sensazione ancora più forte: la maggior parte dei militanti, in qualche modo, ha deciso che fosse arrivato il giorno per andare oltre il protagonis­mo e i rancori di Renzi, oltre la Boschi che gioca a fare la vamp su Maxim, oltre Bonifazi steso su un divano con i barboncini bianchi sul petto nudo, oltre l’idea che o sei con me o contro di me, oltre una certa idea del potere e, certamente, di partito.

C’era questa voglia di risvegliar­si uniti, compatti, c’era e covava: affinché s’infiammass­e è stata però importante la piazza della Cgil di qualche settimana fa, ma una spinta fondamenta­le è arrivata certamente dalla marcia «antirazzis­ta» di Milano. Tutto ciò porta a ragionare sulle prospettiv­e politiche di questo Partito democratic­o di nuovo in piedi, e già si immaginano percorsi e incontri.

Intanto, Giachetti e Martina ammettono la sconfitta. Che è netta. Pesante. Quando l’ha intuita, Nicola Zingaretti — a casa — s’è messo a friggere le polpette. Poi la moglie Cristina è entrata in cucina: «Nico’, mi sa che devi andare…». Eccolo, adesso.

Foto, luci delle telecamere, applausi.

Nicola, gli dice un ragazzo, non ne potevamo proprio più.

I nostri elettori hanno parlato Ora siamo con lui senza se e senza ma Il partito è in buone mani

 Siamo testa a testa per la seconda posizione, impensabil­e quando facevamo fatica con le firme Siamo una realtà

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