Tullio Gregory, il rigore delle idee Addio allo storico della filosofia
Docente alla Sapienza, accademico dei Lincei, aveva fondato l’istituto per il lessico intellettuale europeo
Appassionato di cucina, non gradiva le ricette troppo sofisticate
Specialista del pensiero medievale e del filone critico libertino, attentissimo ai dettagli filologici e amante della buona tavola, lo storico della filosofia Tullio Gregory, scomparso all’età di 90 anni, era senza dubbio una personalità poliedrica. Al grande pubblico era noto soprattutto per il manuale scolastico di storia della filosofia da lui realizzato con i colleghi Francesco Adorno e Valerio Verra, edito da Laterza. E aveva vissuto anche una breve esperienza al vertice della Rai, quale membro del consiglio d’amministrazione cosiddetto «dei professori», nominato nel 1993 e liquidato da Silvio Berlusconi nel 1994.
Il suo impegno di maggior rilievo tuttavia era stato dedicato all’istituto del lessico intellettuale europeo e storia delle idee (Iliesi) che Gregory aveva fondato nel 1964 assieme a Eugenio Garin e Tullio De Mauro, nell’ambito del Consiglio nazionale delle ricerche, per poi dirigerlo fino al 2007: un’impresa da cui sono scaturiti lavori utilissimi per la conoscenza approfondita, sul piano linguistico e filologico, del patrimonio bibliografico, umanistico e filosofico prodotto lungo i secoli nel nostro continente.
Nato a Roma il 28 gennaio 1929, di padre milanese e madre spezzina, Gregory da ragazzo aveva conosciuto Ernesto Buonaiuti, l’ex sacerdote modernista, fine studioso del cristianesimo antico, duramonoteistico mente osteggiato dalla Chiesa e perseguitato dal fascismo. Con lui aveva mosso i primi passi nello studio della tradizione religiosa, quindi si era specializzato in campo filosofico. Ma al tema delle credenze sovrannaturali aveva sempre riservato grande attenzione anche in età avanzata, pur non professando alcuna fede, come testimonia il suo saggio Il principe di questo mondo (Laterza, 2013), in cui si sofferma sulla figura del diavolo nella civiltà occidentale. Evidenziava tra l’altro come la presenza demoniaca fosse cruciale per spiegare la presenza del male in un universo retto da una divinità misericordiosa.
Poco dopo la laurea Gregory aveva intrapreso la sua lunga collaborazione con l’enciclopedia Treccani, presso la quale oggi è allestita la camera ardente. Agli anni Cinquanta risalgono le sue prime pubblicazioni di rilievo: Anima Mundi (Sansoni, 1955) e Platonismo medievale (Istituto storico italiano per il Medioevo, 1958). Del 1961 è il suo libro Scetticismo ed empirismo (Laterza) su un autore fuori dagli schemi come il francese Pierre Gassendi, singolare figura di sacerdote e scienziato convinto di poter conciliare il culto cristiano con l’atomismo epicureo. Da quel lavoro avevano preso le mosse importanti ricerche sul libertinismo come snodo fondamentale di passaggio verso la modernità, confluite in volumi come Teophrastus redivivus (Morano, 1979), poi Etica e religione nella critica libertina (Guida, 1986).
Nel 2016 Gregory aveva raccolto tre saggi nel libro Michel Montaigne o della modernità (Edizioni della Normale), sottolineando la centralità del pensatore francese che, sulla scorta delle grandi scoperte geografiche, aveva aperto la strada a una radicale riconsiderazione del destino umano: una visione complessa che non si esauriva nell’acquisita consapevolezza della relatività dei valori, ma aveva ben chiara l’importanza del fattore religioso come fondamento di un’ordinata convivenza.
Poco più che trentenne, Gregory nel 1962 aveva vinto la cattedra di Storia della filosofia medievale all’università La Sapienza di Roma, ateneo dove aveva sempre insegnato e di cui era professore emerito. Ma era stato docente anche a Parigi, alla Sorbona, e presidente della Società internazionale per lo studio della filosofia medievale, oltre che accademico dei Lincei.
All’impegno universitario affiancava la passione gastronomica. Nella sua casa di Roma, oltre a una biblioteca composta di circa 30 mila volumi, conservava un carrello dei bolliti con i bordi in legno, di cui andava molto fiero, recuperato da una trattoria emiliana in disarmo. E al Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo curava con grande piacere la sezione di «cucina filosofica», proponendo gustosi menu collegati alla tradizione. Non gradiva la ricerca di combinazioni troppo sofisticate ai fornelli: «La creatività è dote rara in cucina, come in altri campi del sapere. Se non sei Einstein, muoviti con le leggi di Newton, e non strafare», aveva detto nel 2000 in un’intervista al «Corriere».
Proprio al nostro quotidiano Gregory, che aveva collaborato anche con «Il Sole 24 Ore», aveva affidato in anni recenti le sue riflessioni preoccupate. Nel 2011 aveva levato la sua voce sul «Corriere» in difesa della laicità dello Stato: a suo avviso era una grave distorsione, sui temi bioetici, «accettare scelte che derivino da una particolare ideologia religiosa, trasformando posizioni teologiche in leggi ordinarie». Insisteva anche sulla necessità di allentare i vincoli burocratici e di sottrarre l’amministrazione alle interferenze politiche.
L’assillo più pressante di Gregory era tuttavia la decadenza dell’italia nel settore della ricerca. Lontano anni luce da qualsiasi pregiudizio verso le scienze naturali, reputava un errore esiziale trascurare le discipline umanistiche e peggio ancora lasciare nell’abbandono archivi e biblioteche perché «non staccano biglietti d’ingresso a pagamento». Gestire i tesori italiani secondo una gretta logica aziendalista gli appariva un suicidio,anche sotto il profilo economico. «La nostra recessione — ammoniva — è anzitutto culturale».