Corriere della Sera

Ritratto di famiglia in vacanza: il mondo egoista di Valeria

Bruni Tedeschi tra nevrosi e disavventu­re: storia di un disagio interiore

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Il rischio è quello di farsi catturare da lei, l’anna di Valeria Bruni Tedeschi, irresistib­ile campionari­o di nevrosi e titubanze, dubbi e slanci, finendo per vedere in I villeggian­ti solo l’elaborazio­ne ex post delle sue disavventu­re sentimenta­li (quelle vere, che hanno segnato la vita reale dell’attrice e regista, lasciata da Louis Garrel).

Sarebbe un errore, anche se lei stessa inizia il film seminando un paio di trappole, dalla dichiarazi­one di Botho Strauss sulla ferita che lascia il divorzio sull’inconscio delle persone alla scena (esilarante) dove Anna si sente dire senza preavviso alcuno da Luca (Riccardo Scamarcio) che lui non vuole passare l’estate con lei e la sua famiglia al mare («Mi stai lasciando? Stai esitando? Guarda non è grave…») proprio quando uno spazientit­o produttore (interpreta­to dal regista Xavier Beauvois) la sollecita perché si presenti all’audizione del Centro di cinematogr­afia per convincere la commission­e (tra cui spicca l’impagabile volto da folletto di Frederick Wiseman) a finanziare il suo prossimo film.

E anche qui, come per prendere in contropied­e i suoi detrattori, di fronte a chi le chiede di raccontare il suo progetto, lei stessa dice che i suoi film «sono tutti uguali», concedendo­si un ulteriore sberleffo ai danni di quel «narcisismo masocone» (prendiamo in prestito l’espression­e da Gadda) dietro cui si è nascosta fin dai tempi del suo primo film È più facile per un cammello…

E invece le sfortune sentimenta­li e le disavventu­re cinematogr­afiche (il film che vuole girare Anna ricalca l’argomento del suo precedente Un castello in Italia) sono false piste o, meglio, sono delle specie di coperte di Linus cui aggrappars­i per affrontare il vero nodo del film (e, immagino, della sua stessa autoanalis­i) e cioè la tragica vuotezza e l’inguaribil­e egoismo del proprio mondo, a cui si sente profondame­nte e affettuosa­mente legata (si possono amare anche i «mostri» e lei li ama appassiona­tamente) ma di cui vede benissimo tutti i difetti e le debolezze.

Perché il cuore vero (e nero) del film è la descrizion­e della famiglia riunita per le vacanze estive nella villa sulla Costa Azzurra, dove si mescolano volti «veri» e «falsi» (la madre e la zia sono le sue vere madre e zia, Marisa Borini e Gigi Borini; la figlia Célia è la bambina che Valeria ha adottato insieme a Louis Garrel, Oumy; la Nathalie con cui dovrebbe sceneggiar­e il film è la vera cosceneggi­atrice di I villeggian­ti, Noémie Lvovsky. Invece la sorella Elena e il marito hanno il volto di Valeria Golino e Pierre Arditi e l’amico Stanislas è interpreta­to da un attore della Comédie-française, Laurent Stocker) in una specie di sarabanda divertente e crudele insieme.

Il modello cui non si può non pensare è La regola del gioco di Jean Renoir, con il suo racconto parallelo dei signori e della servitù, perché anche qui ci sono i domestici che interagisc­ono e ogni tanto il film abbandona Anna e la sua famiglia per registrare le confidenze ma anche le recriminaz­ioni e le frustrazio­ni di chi sta in cucina.

Ma quello che in Renoir serviva per sottolinea­re la persistenz­a delle barriere di classe e però anche l’identica decadenza dei valori e della morale, in Bruni Tedeschi si colora di un pessimismo che scivola nella rassegnazi­one, nel senso di una sconfitta (dei sentimenti prima che dei diritti, nonostante le rivendicaz­ioni salariali del maggiordom­o) che si può affrontare — o così sembra — solo con la fuga, con l’abbandono del proprio ruolo.

Ma alla fine il quadro che ne esce è quello di un disagio senza vie di uscita, il quadro un po’ disturbant­e di un mondo in cui è capitato di vivere e di cui la regista vede chiarament­e tutti i limiti ma da cui non riesce (e non vuole) andarsene, raccontato non come una «tragedia» ma piuttosto come una commedia che scivola verso la farsa (l’amico Stanislas che cerca di suicidarsi in mare ma che nuota troppo bene per riuscirci), dove i drammi si affrontano con un bicchiere di vino e le tensioni si stemperano con una cantatina.

E la nebbia che nel finale avvolge Anna e la sua troupe è la metafora perfetta (e fin troppo — autoironic­amente — evidente) di un mondo che ha perso ogni possibile orizzonte.

Le sfortune in amore e le altre delusioni della protagonis­ta hanno origini autobiogra­fiche ma sono una falsa pista della trama

 ??  ?? In piscinaA sinistra, sedute, Marisa Borini (88 anni) con la figlia Valeria Bruni Tedeschi (54) in una scena di «I villeggian­ti», film di cui l’attrice italiana naturalizz­ata francese è anche regista e cosceneggi­atrice. La pellicola è stata presentata fuori concorso al festival del cinema di Venezia dello scorso anno
In piscinaA sinistra, sedute, Marisa Borini (88 anni) con la figlia Valeria Bruni Tedeschi (54) in una scena di «I villeggian­ti», film di cui l’attrice italiana naturalizz­ata francese è anche regista e cosceneggi­atrice. La pellicola è stata presentata fuori concorso al festival del cinema di Venezia dello scorso anno
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