Corriere della Sera

Conte prende il dossier Di Maio vuole la tregua: Matteo faccia un passo

Ma i leghisti avvertono: arriverà il redde rationem

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Che questa mattina a Palazzo ROMA Chigi si metta una volta per tutte la parola fine all’affaire Tav è difficile. Però, qualcosa dovrà uscire dal vertice tra il premier Conte, i suoi due vice Di Maio e Salvini e il ministro Toninelli. I tempi dell’opera incombono e quelli delle Europee ancora di più.

Il premier ha deciso di fare un passo avanti e di prendere in mano la gestione del dossier, provando a mediare tra le posizioni: «Troveremo una soluzione razionale e ragionevol­e». I 5 Stelle sanno che hanno poche carte da giocare per bloccare davvero la Tav, senza un passo indietro di Salvini. Per far fronte alla possibile emorragia di voti alle Europee, Di Maio deve arrivarci con qualcosa di più in mano. Per questo, sta insistendo con la Lega perché accetti un basso profilo. Ai suoi dice parole che suonano anche come un avvertimen­to: «Siamo stati corretti finora con Salvini, gli abbiamo dato tante volte una mano. Ora mi aspetto che sia lui a fare un passo. Anche perché ci sono ancora tanti provvedime­nti che la Lega vuole portare a casa, dalla legittima difesa all’autonomia». E in caso di dissidio, chissà. Salvini arriva al vertice «molto tranquillo, ma determinat­o nel vedere un passo avanti». L’obiettivo di Conte è escogitare una sintesi, per quanto provvisori­a, che consenta a entrambi di cantare vittoria. I 5 Stelle insisteran­no per il tracciato alternativ­o del Frejus e per non dare il via libera ai bandi.

Ad accrescere il nervosismo della Lega, ci sono le prime mosse del segretario Pd Nicola Zingaretti: il primo atto pubblico del neoeletto è stato puntare diritto su Torino e, a fianco di Sergio Chiamparin­o, lanciare la sfida sulla Tav, «simbolo nazionale delle divergenze nel governo». Punto numero 2, forse ancora più politicame­nte rilevante: «La Lega di Salvini è contro gli interessi del Nord e contro gli interessi produttivi». Salvini commenta secco: «Zingaretti è il vecchio che ritorna. Un film già visto, con la solita sfilata di vecchi vip, dalla Ferilli a Benigni».

Insomma, l’offensiva è partita e i leghisti lo sanno: il nervo dell’alta velocità è scoperto e i dem non daranno tregua. Al punto che molti salviniani guardano alla mano salvifica della Telt: «Non è che fare i bandi ci legherebbe mani e piedi alla realizzazi­one dell’opera», riflette un leghista di primissima cerchia. Come dire: se la Telt si prendesse la briga di indire i bandi, toglierebb­e alla Lega le classiche castagne dal fuoco. E nel partito si dà per scontato che ciò avvenga. A quel punto, i leghisti per le Europee potrebbero rivendicar­e per la Tav passi concreti. E i 5 Stelle sostenere che i bandi non sono definitivi. Troppo? Forse. E infatti nel partito a dirlo sono ormai in parecchi: «Il redde rationem del governo dovrà arrivare. Non possiamo continuare a essere ostaggio di posizioni incomprens­ibili».

Un redde rationem rinviato a data da destinarsi. Ma che ormai neanche i 5 Stelle escludono più con troppa forza. Un casus belli potrebbe riguardare Toninelli. La sua gestione dell’affaire Tav è considerat­a disastrosa dai vertici. E ora il ministro rischia di trovarsi da solo ad affrontare la rabbia dei parlamenta­ri No Tav. Questa mattina il Pd presenta una mozione di sfiducia alla Camera e una al Senato. Alle 16 il capogruppo a Palazzo Madama Andrea Marcucci chiederà nella capigruppo che la presidente Casellati calendariz­zi d’urgenza la mozione al Senato. Non è detto che l’ottenga, ma nel caso in cui l’opposizion­e sia unita nella richiesta, è difficile che venga respinta. Forza Italia sarebbe d’accordo, mentre manca il via libera da Fratelli d’italia. Se la mozione arrivasse al Senato dopo il via libera ai bandi, Toninelli potrebbe diventare il capro espiatorio. Alcuni senatori — dalle dissidenti in odore d’espulsione Paola Nugnes e Elena Fattori, all’irrequieta Virginia La Mura fino al No Tav Alberto Airola — potrebbero decidere di votare contro di lui. E la maggioranz­a esigua potrebbe mancare, facendo cadere il ministro dalla sua poltrona.

Il ministro è nel mirino e con la mozione di sfiducia al Senato potrebbe rischiare

Ai suoi spiega: tocca a Matteo dare una mano, poi ci sono legittima difesa e autonomie

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In strada Davide Casaleggio, 43 anni, presidente e fondatore della associazio­ne Rousseau, ieri era a Torino per la presentazi­one del Fondo nazionale per l’innovazion­e(Lapresse)

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