Corriere della Sera

Bonifazi: mi sostituisc­ono? Speriamo non torni la Ditta, io starò sempre con Renzi

Il tesoriere (in uscita): periodo meraviglio­so, ricapiterà

- di Claudio Bozza

FIRENZE Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd renziano, adesso il Giglio magico è rimasto davvero senza petali.

«Più che petalo, ho avuto il ruolo più bello ma più difficile in politica: fare il tesoriere senza finanziame­nto pubblico. Cinque anni meraviglio­si, e non saranno gli ultimi».

Lei, renziano ortodosso, ha votato per Giachetti. Si aspettava un tale plebiscito pro Zingaretti?

«L’esito lo immaginavo. Ma sono felicissim­o di questa incredibil­e partecipaz­ione».

Lei è cresciuto in una famiglia a filiera Pci-pds-ds. Poi è diventato lo scudiero di Renzi. Ora torna la «Ditta»?

«Mi auguro non sia un ritorno al passato, che ha portato solo sconfitte».

Continuerà a fare politica o si concentrer­à sul suo studio di avvocati, dove lavora anche Maria Elena Boschi?

«Ho voluto sempre fare politica: la mia passione e la mia vita. Però ho seguito il consiglio di mio padre: “Continua sempre a fare la cosa per cui hai studiato”».

E il suo 730 ne ha beneficiat­o molto... Meriti profession­ali o anche delle ricorrenti relazioni politiche?

«Veniamo dalla scuola giuridica di Firenze, una tra le migliori in Italia. È chiaro, poi, che la notorietà non ha guastato».

La nota dolente: i conti. Sapeva che sarebbe stato il primo silurato da Zingaretti?

«Non è un silurament­o. L’assemblea del Pd dovrà eleggere il nuovo tesoriere. Ed è ovvio che Zingaretti scelga

I soldi da Parnasi I problemi giudiziari sono emersi dopo e al Pd non abbiamo la sfera di cristallo

una persona di fiducia».

Qual è lo stato di salute delle casse del Pd?

«I conti sono in equilibrio. Dal 2013 ad oggi abbiamo tagliato di quasi il 70% tutti i costi del Nazareno. Poi siamo dovuti ricorrere alla cassa integrazio­ne per tutti i 170 dipendenti. È stato il momento più brutto della mia esperienza politica. D’altronde siamo passati da un finanziame­nto pubblico di circa 40 milioni l’anno ad uno tutto privato di 12 milioni. Il prossimo bilancio si chiuderà con una lieve perdita: un successo consideran­do i costi della campagna elettorale. Il nodo più difficolto­so è stato recuperare le morosità dei parlamenta­ri: in tanti non solo si sono fatti fare un decreto ingiuntivo, ma si sono addirittur­a opposti».

Per Antonio Misiani, l’uomo dei conti della «Ditta» bersaniana, è un ritorno. Cos’è cambiato nella raccolta fondi tra «voi» e «loro»?

«Il senatore Misiani sarà in grado di svolgere bene questo compito, sapendo che è totalmente diverso da quello di sei anni fa. Negli ultimi tre anni il Pd si è aggiudicat­o il 52% del 2 per mille dagli italiani: se votassero solo queste persone avremmo la maggioranz­a assoluta (ride, ndr)».

Molti dei grandi finanziato­ri del renzismo hanno virato verso Salvini. Perché?

«È naturale che alcuni imprendito­ri vogliano sostenere i partiti che sono al governo. Tanti sono però delusi e impauriti dall’esecutivo gialloverd­e: lo dicono indicatori economici, tutti in ribasso».

Avete ricevuto finanziame­nti da tanti. I soldi da Parnasi per la fondazione Eyu le hanno creato problemi. Non crede servisse più accortezza e che a qualcuno avreste dovuto dire «no, grazie»?

«Respingo in modo categorico. Siamo sempre stati molto scrupolosi. I problemi giudiziari a carico di qualche nostro sostenitor­e sono emersi successiva­mente, e al Pd non abbiamo la sfera di cristallo. La nota vicenda comunque riguarda la fondazione Eyu, non il partito».

Lei è stato al timone nella stagione di massimo potere del Pd. Un successo effimero: spesso siete stati arroganti. Oltre a questo errore, sia sincero, cosa si rimprovera?

«Il nostro entusiasmo e la voglia di cambiare l’italia, a volte, si sono trasformat­i in un limite. Roma è più complessa e più difficile di quanto potesse pensare un gruppo nuovo e giovane come il nostro».

Oggi è più difficile, ma se Renzi se ne andasse dal Pd lei lo seguirebbe?

«Io sono legato a doppio filo con Matteo. Non perché è un mio amico, ma perché condivido in tutto e per tutto la sua visione dell’italia».

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