IL MOVIMENTO TRASVERSALE DI COLPO APPARE DEBOLE
Il sospetto è che di colpo il trasversalismo del Movimento Cinque Stelle stia diventando un elemento di debolezza. Forse per la prima volta non sono i seguaci di Beppe Grillo a pescare un po’ dovunque. Al contrario, fa capolino la possibilità che il maggiore partito della maggioranza possa essere aggredito elettoralmente sia dall’alleato leghista, sia dall’opposizione del Pd post-renziano. Provvedimenti-bandiera come il no alla Tav, l’alta velocità Torino-lione, e il reddito di cittadinanza, si stanno rivelando zavorre. E promettono di acuire l’isolamento del M5S.
L’incognita sul progetto Tav inchioda il governo all’incertezza. E l’ennesimo vertice odierno a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte, i suoi due vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini e il ministro grillino Danilo Toninelli avviene all’insegna di tensioni nemmeno così nascoste. Il «no» del M5S al progetto deve fare i conti con l’appoggio esplicito della Lega, pronta a partecipare a un referendum promosso dal Pd del Nord. E la via d’uscita da questo stallo continua a non apparire facile. Salvini sostiene di «vedere un punto di incontro. Sulla Tav il governo non rischia». Probabilmente è così. Eppure, in parallelo cresce la sensazione che lo schema nelle ultime settimane sia cambiato.
Al solito, la replica è che il governo gialloverde andrà avanti. Lo dicono all’unisono Di Maio e Salvini. Ma la domanda sempre più pressante è: fino a quando; e soprattutto: in quale contesto economico e politico. Le opposizioni hanno buon gioco nel disegnare un’italia che in un anno di esecutivo M5s-lega si presenta «col segno meno». La recessione non è più un’invenzione avversaria. E perfino la prospettiva di una manovra correttiva non viene più solo scansata con fastidio.
Ieri il leader leghista Salvini si è limitato a glissare dicendo: «Aspettiamo i dati reali». Ha solo assicurato: «Nuove tasse non ne mettiamo». Ma il Carroccio, e ancora di più il Movimento sembrano schiacciati in difesa e non all’attacco. A costringere in particolare il M5S in questa situazione scomoda sono divisioni interne che le sconfitte elettorali a livello locale hanno accentuato; la frustrazione per l’ascesa della Lega; e una strategia ondivaga così smaccata da rendere inafferrabili le vere priorità.
In omaggio alla voglia di rilegittimarsi come ministro moderato e ragionevole, adesso Di Maio non attacca più Bankitalia. Non chiede discontinuità e giura: «Abbiamo fiducia nella Banca d’italia, assolutamente». Il saldo di queste virate a ripetizione non è calcolabile: non ancora. Ma di certo proietta un'ombra sul risultato delle Europee di fine maggio. Il fronte populista appare tuttora forte, e alimentato da un malessere diffuso. Ma non è chiaro se le difficoltà del governo italiano favoriranno o freneranno l’ascesa di formazioni simili in Europa. Lo «tsunami» annunciato ora è meno scontato di prima.