Corriere della Sera

«Vorrei non fosse qui, sarebbe un tradimento»

Il tormento del fratello: la segnalazio­ne giunta da fonti interne alla Santa Sede

- F. Sar.

ROMA Mentre entra nel Cimitero Teutonico lo dice chiaro: «Vorrei tanto che tutta questa storia fosse una bufala. Vorrei davvero che Emanuela non fosse qui». Pietro Orlandi non ha mai perso la speranza di trovare sua sorella ancora viva. La cerca da 35 anni, non ha smesso di cercarla neanche per un minuto. E adesso si avvicina a quella tomba con cautela, quasi avesse paura.

Appena si apre uno spiraglio per arrivare alla verità lui non si tira indietro, anzi. «Lo faccio per mia mamma, per le mie sorelle, per mio padre che è morto. Lo faccio per me, certo. Anche andando incontro al dolore, alle porte sbattute in faccia, alle delusioni». Anche questa volta per Pietro Orlandi non è andata in maniera diversa: «Abbiamo creduto che possa esserci un fondamento in questa segnalazio­ne, perché la conferma alla possibilit­à di essere sulla strada giusta è arrivata da fonti interne al Vaticano».

Guarda la tomba, si guarda intorno, sembra quasi intimorito. «È la seconda volta che vengo qui. Io spero che sia viva, ma se invece è morta mi auguro che non sia davvero qui dentro, perché sarebbe una crudeltà. Vorrebbe dire che per tutto questo tempo è stata a 200 metri dalla nostra casa, da mia mamma, e nessuno si è mai preoccupat­o di porre fine al nostro dolore».

La scorsa estate, dopo aver ricevuto quella lettera anonima che suggeriva di cercare qui e di seguire «lo sguardo dell’angelo» Orlandi e l’avvocatess­a Laura Sgrò si sono rivolti a numerosi interlocut­ori all’interno della Santa Sede. Lui ricorda ogni incontro, ogni richiesta di aiuto.

«Ci siamo rivolti riservatam­ente alle gerarchie vaticane per informarli di quello che avevamo saputo pregandoli di darci informazio­ni. Non ci hanno mai voluto aiutare. Per riuscire ad avere delle risposte abbiamo dovuto presentare un’istanza e renderla pubblica. Io credo che l’interesse di conoscere la verità sia soprattutt­o dalla famiglia, ma sono convinto che anche la Santa Sede dovrebbe avere lo stesso obiettivo. Se non hanno nulla da nascondere, dovrebbero essere sempre al nostro fianco. E invece in tutti questi anni abbiamo incontrato soltanto ostacoli. Vorrei ricordare che mia sorella, all’epoca appena quindicenn­e, era cittadina vaticana. Dovevano essere loro a chiamare subito la magistratu­ra italiana, a insistere perché si facesse luce».

Mentre va via ripete quello che dice ogni anno il 4 marzo: «È l’anniversar­io della morte di mio padre che era un dipendente vaticano. Prima della fine mi sussurrò una frase che non dimentico: “Sono stato tradito da chi ho servito”».

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