Tre attentati agli stabilimenti (e una stangata fiscale) «Così mi mettono in ginocchio»
La denuncia in Calabria. Ma il Comune: lui non paga le tasse
Se tre indizi fanno una prova, tre attentati incendiari più una bastonata fiscale fanno una distopia. Così questa è la storia dell’incubo di un ingegnere di Roma da molti anni attivo in Calabria coi suoi villaggi turistici nella zona di Sibari, lì dove la Magna Grecia si tuffa nel golfo di Taranto sollevando onde di opportunità che però quasi nessuno cavalca mai. «Questa terra potrebbe essere la California d’europa. Invece...», medita Luigi Sauve, bevendo caffè amaro nella romana piazza Euclide, con un faldone pieno zeppo di carte sul tavolino: le paure, i verbali e in cima, per ultimo, l’esposto che ha da poco presentato alla procura competente, quella di Castrovillari, al prefetto di Cosenza e al Comune di cui Sibari è frazione, Cassano alla Ionio, anzi, al commissario prefettizio di quel Comune, perché Cassano allo Ionio è stato sciolto per mafia a dicembre 2017.
Il dettaglio non è superfluo: qui contano molto parole e tempi, come vedremo. Nella relazione che mandò a casa il consiglio comunale, il prefetto rilevava «frequentazioni o affinità controindicate» sia «nell’apparato politico che in quello burocratico». Parole gravi (e forse gravide di futuri guai visto che le burocrazie restano dove stanno, immuni da qualsiasi scioglimento).
Qualche equilibrio deve pur essersi rotto a Sibari, perché per anni Minerva, Maregolf e Marlusa, i tre villaggi di Sauve con 3.500 posti letto e 500 dipendenti (la terza struttura più grande d’italia nel settore), avevano campato senza problemi. O quasi. Sauve racconta, sì, di aver subìto il «miracoloso» furto di 261 televisori al plasma appena comprati («su tante stanze, i ladri sapevano esattamente dove stavano le tv nuove!») e ricorda, sì, di avere allontanato per «sfiducia» una mezza dozzina di lavoratori mesi fa. In paese lo descrivono, sì, come uno che paga «poco e male». Ma non basta, non spiega. Lui allarga le braccia e ammette: «Poco e male, vero. Però pago sempre. E do lavoro a tanti». Dunque chi ha interesse a far chiudere un’impresa così, in una terra dove «la fatica» è merce rara?
Eppure qualcuno deve esserci. In dieci giorni, dal 29 dicembre al 9 gennaio, il fuoco divampa in una sala del Minerva, devasta le lavanderie del Marlusa e arde l’automobile di uno stretto collaboratore di Sauve (danni per 700 mila euro e stagione turistica a rischio). L’ingegnere reagisce. Lancia un appello alle istituzioni (hashtag #Senzastatomollo) e promuove un «patto della legalità per la Sibaritide» raccogliendo attorno a sé vescovo e procuratore, il presidente dell’antimafia Morra e tanti calabresi perbene. È il 4 febbraio. Le date sono importanti nelle distopie.
Nel mondo distopico che Luigi Sauve vede attorno a sé, ‘ndrangheta e Stato gli sembrano camminare appaiati. Perché il 7 febbraio, tre giorni dopo la festa della legalità, lo Stato non si manifesta con un sostegno solidale ma con l’imbarazzato viso di un brav’uomo, un funzionario cosentino dell’agenzia delle Entrate, che ha il compito ingrato di pignorare alle due società dell’ingegnere che gestiscono i villaggi (Segea e Sifin) beni per circa 250 mila euro (quadri, mobili, frigoriferi, furgoni). Nel suo esposto Sauve sostiene che in ballo ci sia un contenzioso che si trascina dal 2012 per 200 mila euro di Ici. Ma soprattutto rileva come alcune cartelle fossero appena scadute e altre non lo fossero nemmeno, a dargli prova di una volontà ostile che troverebbe riscontro persino nello sfogo del funzionario delle Entrate che Sauve riporta: «Abbiamo avuto forti sollecitazioni, anche a mezzo mail, da parte del Comune di Cassano allo Ionio (...) ad azionare le procedure esecutive, precisando che i suddetti solleciti afferivano esclusivamente alle posizioni di Sogea e Sefin». Da qui l’ingegnere si spinge a chiedere alla procura se «tutti gli accadimenti suesposti, verificatisi nello spazio di meno di 40 giorni, possano dipendere da un’unica cabina di regia». Il funzionario delle Entrate, implorando l’anonimato, ci conferma un certo tasso di «anomalia».
La domanda implicita di Sauve è grave: fra i travet del Comune qualcuno gli vuole male? Ma appare alquanto temeraria dopo aver parlato con i viceprefetti della struttura commissariale che gestisce Cassano allo Ionio. Mario Muccio, che al Viminale è addirittura capo staff del commissario antiracket, è molto disponibile: «La questione non riguarda solo Sauve ma anche altri, sono atti dovuti: lui verrà convocato in settimana con l’obiettivo di dilazionare i pagamenti. Sarebbe da pazzi mettere in difficoltà un imprenditore così prezioso per il territorio, gli ho suggerito di fare istanza al fondo di solidarietà per le vittime del racket». La sua collega Rita Guida, preposta alle finanze del Comune, precisa che i funzionari alle loro dipendenze vengono anch’essi dall’esterno, secondo legge. Poi contrattacca: «Sauve non paga le tasse, ha accumulato due milioni di debiti, per una parte ha accettato una rateizzazione a 48 mesi, ma le cartelle esattoriali notificate sono andate a ruolo dell’agenzia delle Entrate. L’agenzia si muove per conto suo, pensare che un impiegato comunale possa dirle cosa fare, significa non sapere nulla». Ma si può negare che Sauve abbia dei nemici? «Beh, se dopo vent’anni in un posto così ha avuto solo un incendiuccio, vuol dire che ha anche molti amici...». Amici premurosi, certo, che l’altro giorno gli hanno fatto trovare l’ultimo regalo: una zampa di capretto mozzata.
L’imprenditore
In 40 giorni gli incendi in stile mafioso e un pignoramento da 250 mila euro