Animali ed ecosistemi da salvare L’alternativa sostenibile di Stella
Dagli abiti tricottati con le t-shirt inutilizzate ai giacconi Fur-free-fur alle suole con Yulex, neoprene «verde»: lo show della Mccartney
PARIGI La coscienza «ecologica» della moda ha un nome e cognome, Stella Mccartney. Tutti lei vengono dopo anche se hanno nomi altisonanti. Lei, la stilista figlia di sir Paul, dice sempre che non le interessa proprio chi è arrivato prima, l’importante che ognuno faccia la sua parte. È che, dopo tanti anni, è Stella che continua ad impegnarsi più di tutti. In ogni suo show, un piccolo pezzo di mondo è salvo e come il pifferaio magico amici e non solo la seguono. Così la sua sfilata comincia con le voci (famose, ma anche no, da Gwyneth Paltrow a una sconosciuta Claire) di chi ha risposto al suo appello (There She Growns su Instagram, adottare un albero e dedicarlo a qualcuno che si ama per salvare l’ecosistema indonesiano Leuser in pericolo). E poi in passerella ecco gli abiti upcycling, tricottatti con le migliaia di T-shirt inutilizzate, o i cappotti trapuntati creati con tessuti vintage o i trench in pelle ecologica o i blouson in jacquard Fur-freefur o i completi in viscosa sostenibile o gli stivali in collaborazione con Hunter, con suole di gomma naturale dal taglio scultoreo con inserti in Yulex, alternativa vegetale al neoprene.
Sfilano le donne (a sorpresa Natalia Vodianova e Kaia Gerber) e gli uomini, per entrambi capi dalle linee morbidi, pratici: «Pezzi utili — racconta la stilista — che sono per me la vera connessione con tutte le generazioni e le mode possibili, di ieri e oggi e domani. Ma non prendo mai un periodo particolare di riferimento, mi piace essere me stessa nel messaggio». Ed effettivamente Stella riesce ad essere atemporale. E che siano le tute da lavoro (ormai un must della stilista inglese) o i cappotto over size è indiscutibile la loro funzionalità per un uso quotidiano e vero.
Capi spalla, si diceva. La grande ossessione di queste sfilate parigine. Quasi fossero diventati gli unici pezzi imprescindibili del prossimo inverno. In quasi tutte le sfilate la proposta di cappotti e trench è stata nettamente superiore a tutto il resto. Il suggerimento sembra essere che basta un capo così per fare la differenza. Ed è vero che i giovani li stanno rivalutando e «rubando» dai guardaroba adulti.
Da Sacai l’interpretazione in piumini è la firma riconoscibile di Chitose Abe, giapponese cresciuta imparando l’arte della couture da Comme de Garçons. In lane e tweed ma anche nylon e pelliccia ecco parka e cappotti e trench che sono una meraviglia e accompagnano gli abiti scivolati e midi o pantaloni e gonne dal sapore militare.
Cappotti pezzo forte della collezione anche da Givenchy dove Claire Waight Keller li disegna da manuale della sartoria soffermandosi sulle spalle importanti, anni Novanta, le lunghezze midi, anni Quaranta, e ora con fogge maschili ora con silhouette scolpite. Attenzione tailoring anche per le giacche e i pantaloni di certi tailleur power dress. A contrasto una serie infinita di abiti di micro plissé con una stampa a fiori ispirata a certe porcellane giapponesi. Tuniche per lo più, accollate e svolazzanti sugli orli: non sono particolarmente donanti e un po’ ripetitivi come immagine. Ma la stilista li sdrammatizza con stivali o scarpe dalle suole importanti.
I fiori del giardino di Giverny nei quadri di Monet sono stampati sugli chiffon e ricamati sui tulle o su tweed con i quali Giambattista Valli crea i suoi abiti asimmetrici, i corti da cocktail, le piccole gonne portafoglio, le bluse e i blazer maschili. Valli, le origini: i ricordi dei suoi anni come assistenti di Ungaro affiorano. Una femminilità più sensuale, persino peccaminosa e impudente anche alla luce dell’ispirazione: gli scatti saffici di Guy Bourdin.
Il pezzo forte Cappotti pezzo forte da Givenchy: Claire Waight Keller li disegna da manuale della sartoria
Sensualità
Valli ricorda i suoi anni da assistente di Ungaro per una femminilità quasi peccaminosa