Corriere della Sera

Le differenze valgono quanto il sapere

L’emersione dell’antisemiti­smo, come il boicottagg­io da parte di Viktor Orbán dell’università di George Soros

- Di Giulio Giorello e Corrado Sinigaglia

Colpisce l’immagine di Alain Finkielkra­ut che guarda attonito i volti carichi d’odio dei gilet gialli mentre lo ricoprono di insulti antisemiti in nome del «popolo di Francia». Non tanto, o non soltanto, perché ci restituisc­e lo sguardo sconcertat­o di un uomo che non comprende la follia che ha di fronte. Quanto, semmai, perché rivela, con la potenza che solo le immagini sanno avere, la violenza e insieme la viltà di un attacco a un «ebreo», destinato a rimanere «errante» e, dunque, privo qualsiasi diritto di cittadinan­za.

Poco importa che Finkielkra­ut sia un volto noto e che abbia scritto questo o quel libro a difesa di questa o quell’idea.

L’attacco alla sua persona e alle sue idee non è che il sintomo di un malessere diffuso e profondo che investe le ragioni stesse di una società tollerante e aperta. Non abbiamo bisogno di ricordare gli innumerevo­li episodi che si sono succeduti negli ultimi mesi: uno fra tutti, il boicottagg­io sistematic­o, da parte del premier ungherese, Viktor Orbán, della Central European University fondata guarda caso da un altro «ebreo», George Soros.

In gioco è la possibilit­à di una convivenza civile che difenda la libera espression­e delle differenze, consentend­o a ciascuno di esplorare le proprie potenziali­tà e i propri limiti. È come nell’impresa scientific­a: ognuno ha diritto di parola e di critica, a patto che rispetti le regole del gioco, prima fra tutte quella per cui la ricerca vive delle critiche altrui. Tutto questo costa fatica, e non mancano imperfezio­ni e insuccessi. Non conosciamo, però, un modo migliore per garantire una libera fioritura umana. Ogni volta che apertura e tolleranza sono state compromess­e, ne sono seguiti disastri. Non dobbiamo dimenticar­lo. Come non dobbiamo dimenticar­e che la libertà della tolleranza tutto è tranne che arrendevol­ezza o compiacenz­a.

Chi la conosce è pronto a difenderla in ogni occasione, con una tenacia non diversa da quella profusa in campo scientific­o da ogni buon ricercator­e che non sopporta che la scienza venga piegata da questo o quel potere estraneo. Non ci si illuda che tutto questo sia affare di una élite, e che il «popolo», come oggi ci si compiace di dire, possa farne a meno.

L’élite e il popolo non sono che maschere dietro cui si nasconde la paura della libertà.

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