Il film punta su sentimenti e citazioni di grandi autori
È l’arcobaleno che si aspetta durante C’è tempo, il settimo film (ma il primo di fiction) di Walter Veltroni, cinefilo che crede nei sentimenti e nel potere del cinema di trasmetterli. Il genere è emozioni, che non sono quelle legate a un thriller, ma ai movimenti impercettibili delle nostre sensazioni quotidiane nel nostro rapporto con gli altri. E l’arcobaleno arriva doppio nel finale parigino.
Il film, un road movie un poco ricalcato sul Sorpasso ma con epicentro emiliano, ha la leggerezza di un sogno fatto in due o di una fiaba, il tocco di un rapporto in fieri che si può inventare giorno per giorno. Siamo in un paese poco realistico, spesso quasi deserto, partendo però da un molto reale diffuso bisogno di ottimismo, mortificati come siamo tutti dal sovrappeso di odio, livore, violenza che è moneta corrente nella società.
Il cinema aiuta? La storia è quella di un brav’uomo ufficialmente inutile e in soprappeso, in via di divorzio: un giorno apprende improvvisamente di avere un fratellino 13enne orfano e bisognoso di tutte le figure familiari, compreso un tutore, cioè lui che si sente inadatto al ruolo, incapace di insegnare. Ma l’ha deciso un giudice.
Dapprima attratto dalla ricompensa, col bieco proposito di mandarlo in collegio appena possibile, durante il corso di un tempo cinematografico che sparge tenerezze di vario ordine e grado, sociali e sentimentali, l’uomo finisce per affezionarsi a quel ragazzino saputello trovato per caso che esce, come un piccolo