Una favola contro l’odio
La storia di due fratelli e un viaggio «on the road»: Veltroni insegue l’ottimismo in un mondo di rancori
lord di oggi, dal ritratto di ricca e anaffettiva borghesia. E’ orfano e malato di solitudine, ma si cura con ben scelte pillole cinematografiche nel televisore ultimo modello. Infatti coltiva una vera passione per un personaggio che in parte lo rispecchia, l’antoine Doinel dei 400 colpi, alter ego di Truffaut in molti dei suoi titoli.
Sarà un viaggio, fisico e simbolico, allegro e musicale, di passioni e di dubbi. L’incontro con una giovane cantante completa di figlioletta, porta inevitabilmente alla formazione di una doppia coppia, alle confidenze tra teenager e finisce in una trasferta parigina. E c’è perfino un incontro dal vivo con Jean Pierre Léaud, l’attore idolatrato dal ragazzo, oggi un vecchio signore 74enne: in quel momento, per il ragazzo ma anche per noi, vita e cinema coincidono e forse l’arcobaleno nasce proprio perché verità e finzione trovano un punto di accordo da cui ripartire.
Walter Veltroni, dopo i suoi istruttivi e competenti documentari dotati di molti fattori umani, gira un viaggio in Italia sulla scorta di un bilancio ricco di citazioni del nostro cinema: dagli indimenticabili Scola e Mastroianni, al Fulgor felliniano, al viaggio parallelo con Olmo, nel Novecento di Bertolucci.
Se questi sono i padri putativi, il racconto scritto con Doriana Leondeff è una somma di tentativi sentimentali evidentemente suggeriti da un bisogno diffuso nell’italia di oggi, cui Veltroni risponde con la felicità e l’armonia di una storia a lietissimo fine cosparsa di qualche sorpresina vintage come una canzone alla Carmen Miranda e di qualche didascalica disputa, come quella notturna col banchiere che non capisce come si possa sopravvivere lavorando sulle materie di cui son fatti i sogni, gli arcobaleni o lo specchio che riflette i raggi del sole e li conduce a domicilio.
Sono giusti e contagiosi gli attori, si danno la replica secondo uno schema che l’universale commedia dei caratteri conosce. Si sa che si addolciranno un poco ciascuno fino a trovarsi nello stesso sorriso davanti ai colori: Stefano Fresi fa della sua stazza una corazza contro le intemperie del destino personale (non sapeva chi fosse suo padre), Simona Molinari semina un casalingo sex appeal e il giovane deb Giovanni Fuoco riesce a fare il pieno di simpatia pur con un personaggio che sulle prime andrebbe sculacciato ma che si perdona subito non fosse che per la sua perizia di spettatore che ha i piedi su questa terra anche se la testa vive e sogna in bianco e nero.