Corriere della Sera

Quella faccia da joker punk Un «incubo» per le famiglie

- Di Andrea Laffranchi

Erano gli anni Novanta, la seconda metà, quella che inizia con la morte dell’angelo biondo Kurt Cobain. Il baricentro della musica si era spostato dall’america alla cool Britannia. Da lì arrivavano le chitarre britpop di Blur e Oasis, e la rave culture dei party illegali a base di elettronic­a con bpm altissimi e aiutini chimici per stargli dietro. Dance e big beat arrivarono nelle classifich­e, si presero stelle dalla critica (anche quella rock) e i nomi erano quelli di Chemical Brothers, Fatboy Slim e Prodigy. Keith Flint nasce come animale da palco, la sua performanc­e per i Prodigy prima maniera era il ballo. Quell’istinto gli farà mangiare lo spazio intorno fino a prendersi il ruolo di cantante e frontman della band grazie a un’intuizione estetica: recuperare gli elementi più aggressivi del punk e aggiornarl­i. Ne uscì una maschera inquietant­e, un joker dark con i capelli a punta, piercing e catene, lingua fuori e ghigno. Un po’ cartoon e un po’ incubo per le famiglie. Trasgressi­one e aggression­e. La censura della Bbc (ma tanto c’era Mtv) fu il bollino che li rese icona del proibito. E così il movimento elettronic­o metteva le gambe fuori dai club e arrivava a giocarsi con il rock gli spazi nei grandi festival e negli stadi. Si era aperta la stagione dei deejay superstar.

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